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Medicina, Salute & Riabilitazione

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Con il cambio stagione arrivano tanti cambiamenti anche in ambito salute.

Le temperature cambiano, il freddo aumenta, le giornate si accorciano, ci sono più sbalzi di temperatura e ci si ammala più facilmente.

I classici primi raffreddori, tosse, influenze leggere, mal di gola, sono solo alcuni dei tipici segni dei malanni stagionali che come ospiti indesiderati si ripresentano ogni anno puntualmente.

Con i primi freddi si parla sempre di malanni come “l’influenza”, anche se più correttamente dovrebbe chiamarsi disturbo simil influenzale, in quanto l’influenza vera e propria come patologia virale raggiunge il suo picco alla fine dell’inverno.

Tali disturbi possono dimostrarsi molto fastidiosi e debilitanti per la vita lavorativa, scolastica e in generale per tutte le attività quotidiane.

Vediamo in dettaglio le tipologie di disturbi e come attuare una efficace prevenzione naturale.

I MALANNI STAGIONALI

  • raffreddore
  • mal di gola
  • tosse
  • febbre
  • spossatezza

Questo elenco è forse il più comune dei disturbi simil influenzali tipico delle mezze stagioni, in particolare del periodo autunnale.

Il motivo per il quale sopraggiungono questi primi malanni dipende dall’equilibrio delle difese immunitarie del nostro organismo.

LE DIFESE IMMUNITARIE [1]

Le vie respiratorie dispongono di un sistema efficace in grado di intrappolare microbi, polvere, smog, polline e in generale qualsiasi sostanza estranea all’organismo e potenzialmente dannosa.

Il muco, che spesso annoveriamo tra i fastidi tipici della stagione fredda, è in realtà una delle armi migliori a disposizione del nostro corpo per difendersi da questi intrusi. Viene prodotto da particolari cellule mucipare, che rivestono naso, trachea e bronchi: lo strato sottile e appiccicoso di muco che ricopre naturalmente le vie respiratorie serve proprio a intrappolare le sostanze estranee che attraverso il naso o la bocca entrano continuamente nel nostro corpo.

Oltre alle cellule mucipare, particolari cellule provviste di una sorta di ciglia, dette cellule ciliate, oscillano per “spazzare via” le particelle catturate dal muco e sospingerle verso l’esterno. Questo sistema di pulizia semplice ma efficace consente di proteggere i polmoni.

IL FREDDO FA MALE ALLA SALUTE?[2]

Il freddo di per sé non fa male alla salute: sono piuttosto gli sbalzi di temperatura e il riscaldamento artificiale a minacciare le nostre difese.

L’aria secca degli ambienti riscaldati inaridisce le mucose, compromettendo la loro capacità di produrre muco, e asciuga lo strato di muco che riveste normalmente le nostre vie respiratorie.

Il passaggio da ambienti riscaldati al freddo esterno inoltre (il tipico colpo di freddo) può far diminuire ulteriormente l’efficienza delle mucose.

Agenti patogeni come batteri e virus, cui normalmente verrebbe impedito l’accesso, riescono così a penetrare in profondità nelle vie respiratorie e possono causare danni anche gravi.

ALLORA PERCHÉ QUANDO FA FREDDO CI SI AMMALA DI PIÙ?

Di tutte le malattie stagionali, solo il 10% è di origine batterica, il resto è virale e i virus sopravvivono con maggior facilità al freddo.

Ma il diffondersi dei malanni di stagione è anche facilitato dalla maggior permanenza delle persone in luoghi chiusi, che nella stagione fredda sono più affollati e meno areati del solito.

Anche il riscaldamento fa la sua parte, come abbiamo visto, rendendo l’aria più secca e le difese meno efficienti.

Ecco quindi che l’autunno e l’inverno sono le stagioni in cui è più facile che si diffonda questo tipo di patologie.

COME SI DIFFONDONO I VIRUS?[3]

Il contagio avviene sia per via diretta che indiretta.

Il virus si diffonde per via diretta attraverso la saliva, attraverso le microscopiche goccioline che emettiamo quando parliamo, tossiamo o starnutiamo.

Ma i virus sono in grado di sopravvivere per qualche ora anche fuori dall’organismo: ciò permette la trasmissione indiretta, attraverso il contatto con le mani o superfici infette.

COME DIFENDERSI?[4]

Il nostro organismo è già dotato di difese importanti, ma a volte hanno bisogno di una mano.

  • Un primo accorgimento che possiamo prendere sempre è quello di proteggere le alte vie respiratorie coprendo bocca e naso con una sciarpa: in questo modo manterremo la giusta umidità;
  • Bisogna ricordarsi inoltre di inspirare con il naso ed espirare con la bocca, per sfruttare anche la funzione di filtro del naso stesso;
  • Un accorgimento semplice ed efficace è quello di lavarsi frequentemente le mani ed evitare di toccare naso, occhi e bocca dopo la permanenza in luoghi affollati e frequentati da altre persone (ad esempio i mezzi pubblici);
  • Per lo stesso motivo, è importante areare di frequente i luoghi affollati;
  • Ricordiamoci di mettere sempre la mano davanti alla bocca quando starnutiamo: un altro consiglio “della nonna” che non è solo buona educazione, ma vera prevenzione, perché la mano farà da barriera verso gli altri impedendo alle goccioline di saliva di raggiungerli;
  • E le Vitamine? Mentre la vitamina D ha un effetto positivo sul sistema immunitario, il ruolo della vitamina C è stato un po’ ridimensionato: fermo il suo ruolo di antiossidante, non sembra infatti avere la capacità di prevenire i malanni stagionali, anche se aiuta a ridurre la durata dei sintomi.

COSA FARE QUANDO L’INFEZIONE È IN ATTO?[5]

Normalmente le infezioni stagionali si risolvono in una decina di giorni. In caso contrario, come anche nel caso in cui siano presenti sintomi molto accentuati, è bene consultare il medico.

In generale, non bisogna assumere antibiotici ai primi sintomi: oltre che inutili nei casi di infezione virale, sono anche dannosi per i batteri “buoni” presenti nel nostro intestino, e che aiutano il sistema immunitario.

Per quanto riguarda invece la tosse, è meglio non assumere sedativi indicati per quella secca se c’è produzione bronchiale, perché impediscono di espellere il catarro.

Ricorda che sono disponibili anche rimedi non farmacologici per il benessere delle vie respiratorie, come lavaggi nasali, aerosol, suffumigi, umidificatori per ambienti e – da non sottovalutare – l’abitudine a osservare cicli di sonno regolari.

LA PREVENZIONE: prevenire è meglio che curare [6]

La migliore arma per prevenire i malanni autunnali è certamente la prevenzione, ancora meglio se fatta in modo naturale.

Di seguito riportiamo alcune misure preventive molto inutili per combattere in modo naturale tosse, raffreddore e gli altri malanni simil influenzali:

  1. Mangiare sano: non saltare mai la prima colazione, fare tre pasti completi che prevedano sempre frutta e verdura, evitare bibite e cibi con troppo zucchero e fare sempre gli spuntini per evitare di arrivare affamati al pasto. Possono sembrare delle banalità ma aiuteranno il nostro sistema immunitario a lavorare al meglio.
  2. Riposare: dormire a sufficienza, ovvero almeno 7 ore per notte, è fondamentale. Una carenza di sonno, infatti, può portare ad un abbassamento delle difese immunitarie. Molto importante è anche trovare del tempo per rilassarsi, in quanto il relax oltre a ricaricare le energie fisiche e psicologiche, tiene a bada lo stress aiutando così le difese immunitarie.
  3. Attività fisica: l’esercizio riattiva la circolazione del sangue e potenzia la funzione immunitaria.
  4. Igiene: i malanni di stagione sono spessi causati da virus che possiamo contrarre in ogni attività quotidiana, proprio per questo la prima regola anti contagio è lavarsi bene le mani. Non solo prima di mangiare, ma anche prima di toccarsi naso, bocca e occhi e ogni volta che rientriamo a casa.
  5. Protezione: per una protezione ottimale è bene usare una strategia in&out. Coprirsi bene indossando cappello e sciarpa già all’arrivo dei primi freddi può aiutare ad evitare il contagio da parte dei virus. Molto utili in fase di prevenzione sono anche gli integratori alimentari a base di Vitamina C, Echinacea, Uncaria e Papaya Fermentata per un’azione dall’interno che vada a stimolare le nostre difese immunitarie.

DIFESE IMMUNITARIE: l’importanza delle VITAMINE[7]

Le vitamine sono fondamentali per il benessere dell’organismo ed è scientificamente dimostrato che un’alimentazione ricca di frutta e verdura apporta la giusta quantità di vitamine, sali minerali, polifenoli, flavonoidi e sostanze antiossidanti che stimolano e rafforzano il nostro sistema immunitario.

Mantenere alte le difese immunitarie, infatti, è la migliore forma di prevenzione contro i malanni di stagione, soprattutto quelli che coinvolgono le vie respiratorie.

In particolare è importante assumere alimenti ricchi di Vitamina C, come ad esempio agrumi, kiwi, ananas, peperoni, pomodori, cavolfiori, broccoli, lattuga e radicchio.

La Vitamina C, infatti, può aiutare sia in fase preventiva che ad accelerare i tempi di guarigione.

Anche le Vitamine B sono fondamentali per un corretto funzionamento del sistema immunitario e per la produzione di anticorpi che difendono l’organismo dalle infezioni tipiche della stagione fredda. Per fare il pieno di vitamina B è bene introdurre nella nostra dieta lievito di birra, fagioli freschi, lenticchie, nocciole, mandorle, cavolo, cavolfiore, latte, soia.

Molto utili sono anche le vitamine A, D ed E per prevenire le malattie di raffreddamento.

SISTEMA IMMUNITARIO: I MIGLIORI INTEGRATORI PER RAFFORZARE LE DIFESE NATURALI[8]

 ECHINACEA

L’assunzione regolare di Echinacea è particolarmente efficace nella prevenzione delle malattie del raffreddamento, influenza, infezioni del sistema respiratorio (raffreddore e tosse) e di quello urinario (cistite). L’Echinacea, infatti contienepolifenoli, acido cicorico e echinacoside, sostanze ad azione immunomodulante e dalle proprietà batteriostatiche ed antivirali.

L’efficacia dell’assunzione di Echinacea è dimostrata da studi scientifici, aumentando l’attività dei globuli bianchi sostiene le difese immunitarie aiutando a prevenire influenza e raffreddore o accelerando i tempi di guarigione.

PAPAYA FERMENTATA

Studi scientifici dimostrano la straordinaria efficacia della Papaya Fermentata nello stimolare le difese immunitarie innate e acquisite e le difese antiossidanti per prevenire l’insorgenza di malattie.

Gli enzimi antiossidanti, selenio e flavonoidi, si potenziano grazie al processo di fermentazione assicurando lo smaltimento delle tossine, garantendo il benessere dell’apparato circolatorio e contrastando l’ossidazione delle cellule prevenendo i danni causati dai radicali liberi. Effetti benefici sono stati riscontrati per molte patologie come influenza, artrosi, malattie autoimmuni, degenerative e neurodegenerative.

PROBIOTICI

La maggior parte delle difese immunitarie (oltre l’80%) ha origine nell’intestino, proprio per questo rafforzare l’equilibrio dell’ecosistema intestinale può avere un effetto positivo sulla salute generale dell’organismo. L’assunzione di Fermenti Lattici Probiotici favorisce l’equilibrio della flora intestinale andando così a stimolare le naturali difese dell’organismo.

DOLORI DA FREDDO: COME PREVENIRE DOLORI MUSCOLARI E REUMATISMI[9]

Le temperature fredde e le giornate umide e piovose portano sempre con sé i dolori tipici della stagione invernale.

I sintomi più classici sono proprio il mal di schiena ed i dolori cervicali ma si possono presentare anche persistenti rigidità muscolari soprattutto al mattino.

Questa tipologia di disturbi è più frequente nelle persone anziane, in cui a causa dell’età si presenta il deterioramento dei tessuti muscolo-scheletrici.

Clima rigido e esposizione prolungata al freddo umido accompagnano la stagione invernale, dobbiamo rassegnarci, ma come prevenire i fastidiosi dolori da freddo?

La prima accortezza è quella di evitare gli sbalzi di temperatura, in quanto sono i primi potenziali responsabili di lesioni muscolari e fastidi dovuti al freddo. Vestire in modo adeguato coprendo bene cervicale, spalle e reni può aiutare a proteggersi dai pericolosi colpi d’aria.

Se ci si allena in inverno o se semplicemente si è particolarmente sensibile al freddo bisogna prestare ancora più attenzione ed arricchire la dieta di cibi ad azione antiossidante come legumi, pesce, aglio, zenzero, frutta secca, frutti rossi e peperoncino.

Mal di schiena e dolori articolari non vanno mai sottovalutati in quanto possono diventare costanti e persistenti portando a patologie croniche come reumatismi articolari, artrite, artrosi, lombalgia e simili.

Per questa ragione se il semplice dolore articolare o il mal di schiena fanno fatica a passare, è bene lasciare a riposo e al caldo la zona infiammata e consultare il medico di fiducia o un fisioterapista.

 

 

 

 

 

[1] Il Dott. Paolo Fanari, Direttore della U.O. di Pneumologia e Riabilitazione Pneumologica di Auxologico Piancavallo

[2] [2] Il Dott. Paolo Fanari, Direttore della U.O. di Pneumologia e Riabilitazione Pneumologica di Auxologico Piancavallo

[3] [3] Il Dott. Paolo Fanari, Direttore della U.O. di Pneumologia e Riabilitazione Pneumologica di Auxologico Piancavallo

[4] [4] Il Dott. Paolo Fanari, Direttore della U.O. di Pneumologia e Riabilitazione Pneumologica di Auxologico Piancavallo

[5] [5] Il Dott. Paolo Fanari, Direttore della U.O. di Pneumologia e Riabilitazione Pneumologica di Auxologico Piancavallo

[6] https://www.ecofarma.it/

[7] https://www.ecofarma.it/

[8] https://www.ecofarma.it/

[9] https://www.ecofarma.it/

Chi di noi abbia mai passeggiato in un bosco, al parco, sulle rive di un fiume, vicino ad un lago, sulla spiaggia ammirando la potenza del mare o in montagna, ammirando la maestosità dei monti o in generale immersi in un qualsiasi cotesto naturale, avrà sicuramente notato quel senso di benessere e quello stato di euforia, calma e serenità che si crea dentro di noi.

Gli uccellini che cantano, il mare con il suo rumore delle onde, la foresta che con il vento respira e parla; tutti questi suoni, uniti ai colori della natura, delle foglie, dell’acqua, delle montagne, del verde in generale e degli animali, conferisce uno stato di benessere e di serena consapevolezza di sé che restituisce un senso di pace interiore e ci fa avvicinare al nostro centro interiore energetico.

Non a caso, gli studi e il mondo scientifico hanno riconosciuto la cosiddetta Terapia Forestale (derivante dal Forest Bathing- Bagno nella Foresta) o Eco Therapy (Eco Terapia) come una vera e propria terapia che si ottiene passeggiando in un bosco, in un parco, striandosi lungo un corso d’acqua, percorrendo sentieri di montagna i cui benefici si riscontrano in uno stato di ritrovata energia e stato d’animo sereno, calmo ed appagato, accompagnato da una serie di sensazioni positive quali allegria e spensieratezza.

Questa terapia naturale incoraggia e motiva le persone ad approcciarsi alle cure naturali in maniera concreta, potendo subito ottenere i numerosi risultati positivi, creando allo stesso tempo delle ottime e solide relazioni positive con l’ambiente naturale.

La Terapia Forestale deriva dalla terapia della Forest Bathing ed ha origini lontane ed antiche, di provenienza giapponese.

La Forest Bathing deriva dalla terapia giapponese chiamata Shinrin-yoku: un’espressione giapponese che ha un significato molto profondo e complesso e che non può essere tradotta con una sola parola in altre lingue. Possiamo definirla infatti come: “trarre giovamento dall’atmosfera della foresta” o “Forest Bathing” appunto.

Con la Eco Therapy o Terapia Forestale si declinano i veri tratti della medicina complementare e se ne riconoscono a tutti gli effetti i benefici e i grandi vantaggi.

I diversi studi effettuati in oltre 30 anni hanno portato alla luce i numerosi benefici ed impatti sul benessere psico-fisico ed energetico in termini di effetti diretti degli ambienti forestali sulla salute mentale e fisiologica dei visitatori.

In un libro di Federica Zabini per la prima volta sono raccolte tutte le evidenze scientifiche sui benefici psicofisici dello stare a contatto con la natura inserendo e coniando la Forestfulness come la nuova Mindifulness ambientata nei boschi.

DEFINIZIONE

Scegliere l’Eco Terapia significa approcciarsi al mondo naturale con l’intento di ritrovare una connessione profonda con esso attraverso cuore, mente e spirito: un mix di sensi, pensieri e sentimenti che si concretizza nel fare diversi tipi di attività in un contesto naturale:

– Trascorrere del tempo in un bosco o in un giardino.
– Sedersi accanto ad un ruscello, un fiume o una fonte d’acqua.
– Ammirare il paesaggio durante un viaggio.
– Dedicarsi al giardinaggio e prendersi cura delle piante.
– Interagire con gli animali domestici, compresi cani, gatti e cavalli, conigli e tutti gli animali in generale.

L’Eco Terapia si fonda sul principio che allontanarsi dai propri ritmi e routine abituali per approcciarsi agi spazi verdi e ai diversi ecosistemi permetta di beneficiare del potere curativo che la natura esercita sull’uomo declinandosi nell’istantaneo senso di benessere che si viene a creare appena entriamo in contatto con gli elementi naturali.

Per sperimentare l’innato benessere derivante dall’ attaccamento e dalla connessione ancestrale che l’uomo ha nei confronti di Madre Natura si può trascorrere tempo all’aria aperta cercando una interazione con gli esseri viventi di fauna e flora.

IL LEGAME CON LA NATURA: senso di Benessere

Il legame forte che si ritrova nel rapporto uomo-natura è stato individuato come conseguenza della “biofilia” ovvero dell’attrazione istintiva che l’uomo prova per la natura e le altre forme di vita. La matrice comune dei benefici del contatto con gli elementi naturali è la sensazione di benessere e di rilassamento che si prova davanti a scenari naturali.

La concezione della Foresta da sempre viene considerata come spazio di iniziazione e crescita nell’universo fiabesco, archetipo presente nell’inconscio collettivo secondo Jung e un luogo dove può iniziare una trasformazione importante in grado di investire anche la dimensione interiore.

Di tutti i benefici sono soprattutto quelli psicologici i più immediati da osservare.

Passare del tempo in foreste e parchi, o semplicemente contemplare gli alberi, aiuta le difese immunitarie, riduce lo stress, diminuisce la pressione sanguigna, migliora lo stato d’animo e induce rilassamento.

E’ di comune opinione nel mondo scientifico che trascorrere almeno 120 minuti alla settimana in natura, anche non consecutivamente, si può associare ad una probabilità significativamente maggiore di buona salute o di benessere.

CARATTETISTICHE & RISULTATI SCIENTIFICI

Per definire i benefici della Terapia Forestale e l’impatto che ha sull’uomo gli studi si sono direzionati “dalle funzioni fondamentali delle grandi foreste rispetto al sostentamento della vita umana sul pianeta – dalle malattie al clima – per passare, attraverso l’analisi del rapporto ancestrale tra uomo e foresta, a esporre in dettaglio i risultati della ricerca scientifica rispetto ai benefici offerti dalla frequentazione dei boschi grazie alla mediazione di tutti i nostri sensi. Si tratta di benefici significativi, ad ampio spettro e spesso duraturi, per esempio rispetto alla salute mentale e alle difese immunitarie”[1]

Grazie al lavoro del Club Alpino Italiano in collaborazione con l’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche e il Centro Regionale di Riferimento in Fitoterapia presso l’ospedale Careggi a Firenze è stato possibile mettere insieme analisi e ricerche grazie al contributo di tutti i medici, biologi, forestali, fisici e psicologi, che hanno dato conferma della valenza scientifica del ruolo terapeutico che la natura ci offre.

Quello si evince dalla mole di tale ricerca è che la Terapia Forestale conferisce un benessere immediato per i sensi e per l’umore contraddistinto da una vera e propria fuga, evasione e rifugio immersivo terapeutico dallo stress, i pensieri e le ansie di tutti i giorni.

Tale valore terapeutico si accentua ed assume connotati rafforzati se pensiamo al periodo di pandemia appena finito che ha sradicato completamente tenuta e l’integrità delle sicurezze emotive, sfociando in un vero e proprio disagio sociale.

Oltre agli effetti più immediati, si riscontrano anche gli effetti a lungo termine, tra i quali ritroviamo gli effetti positivi sul sistema immunitario e sullo stress ossidativo dell’organismo.

BENEFICI PER I SENSI [2]

La vista. La sola stimolazione visiva con immagini forestali, disponibili su schermo televisivo e per soli 90 secondi, porta a benefici psicologici e, spesso, fisiologici. Una ricerca condotta in Italia, con la partecipazione del CAI e del CNR, e il coinvolgimento di quasi 100 partecipanti, ha dimostrato che la visione e l’ascolto di un video forestale in condizioni di isolamento dalla natura (come per esempio in situazioni di stretto lockdown) sono efficaci per la produzione di un significativo rilassamento psicologico a breve termine (riduzione dei livelli percepiti di ansia), mentre vedere e ascoltare un video urbano produceva gli effetti opposti.

Il tatto. Toccare il legno ha un effetto terapeutico, anche in ambienti indoor. La stimolazione tattile quando si entra in contatto con il materiale legno, inducono un rilassamento fisiologico. Tale rilassamento è dimostrato dalla riduzione dell’attività cerebrale, dal potenziamento dell’attività nervosa parasimpatica e dall’inibizione dell’attività nervosa simpatetica, dalla diminuzione della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e del livello dell’ormone dello stress. Ecco perché la meditazione con l’albero è lo step finale della terapia forestale.

L’olfatto. I composti organici volatili biogenici emessi dalle piante e dal suolo forestale sono dotate di attività antiossidanti, antinfiammatorie e rilassanti. Uno degli spettacoli più belli che prova la loro presenza è l’effetto Tyndall, ovvero la bruma leggermente azzurra che aleggia al di sopra delle foreste, un fenomeno che si realizza quando i raggi luminosi vengono diffusi da particelle sospese nell’aria.

Passeggiare nella foresta in maniera regolare, ad esempio almeno una o due volte al mese, è un’utile pratica per prendersi cura della propria salute grazie anche agli effetti benefici dell’inalazione dei COV forestali rilasciati dagli alberi nell’aria. Per massimizzare gli effetti per prima cosa bisogna escludere tutti i device tecnologici, passeggiare, contemplare e unire pratiche di respirazione e rilassamento.

I BENEFICI DELL’ECO-TERAPIA

BENEFICI MEDICI

E’ stato notato come il nostro corpo riesca a guarire più velocemente attraverso la semplice osservazione della natura. Secondo alcune ricerche, i pazienti in ospedale hanno una ripresa più rapida e avvertono meno dolore se sono raggiunti da immagini, panorami e suoni della natura o se possono osservare dei dipinti di paesaggi naturali o ascoltare dei suoni registrati provenienti dal mondo naturale. Tutte queste azioni hanno effetti positivi sul recupero della salute.

BENEFICI EMOTIVI

La vita di tutti i giorni richiede elevati livelli di concentrazione per compiere le azioni quotidiane in ogni contesto in cui ci relazioniamo, dalla casa, alla famiglia o al lavoro. Queste azioni possono provocare irritabilità, stanchezza e stress. Il contatto con la natura può contribuire a migliorare il benessere generale, garantendo un vero e proprio effetto ristoratore, i cui effetti benefici si scoprono nel trascorrere tempo all’aria aperta e sono evidenti sia sugli adulti che sui più giovani. Una vacanza in campeggio, una bella nuotata o una corsa nel parco possono aiutarci a sentirci più pazienti e sicuri di noi stessi.

BENEFICI TERAPEUTICI

Grazie a recenti ricerche, si è dimostrato come il diretto contatto con la natura possa offrire un supporto da non sottovalutare a coloro che soffrono di disturbi come l’ansia o la depressione. In alcuni istituti scolastici si incoraggiano gli insegnanti a trascorrere del tempo all’aria aperta – anche per una breve camminata – con i bambini iperattivi, così che in classe e nelle altre attività della giornata possano concentrarsi di più. In caso di malattie gravi, l’eco-terapia potrebbe rappresentare un supporto interessanti alle normali cure.

BIOFILIA

Come già riportato la biofilia si tramuta in una vera e propria connessione uomo-natura che si convalida nella certezza che non si possa vivere una vita sana e completa lontano dalla natura. Basandoci su questa affermazione, è stato dimostrato da un gruppo di studiosi olandesi che la natura può aiutarci a vedere il nostro futuro in chiave positiva. Osservare un paesaggio naturale rigoglioso – anche in fotografia – sarebbe d’aiuto per aprire i propri orizzonti verso prospettive esistenziali decisamente più rosee.

SILVOTERAPIA

La Silvoterapia è la Pratica finalizzata a migliorare il benessere della persona attraverso il contatto con gli alberi nel loro ambiente naturale: abbracciare un albero e sentirsi subito meglio. si base sul rapporto dell’uomo con gli elementi naturali in particolare con piante ed alberi: abbracciare un albero per sentirsi meglio. È stato verificato che si ottengono numerosi vantaggia ed effetti terapeutici appoggiandosi con la schiena al tronco degli alberi e posizionando la mano destra nella zona del plesso solare. La mano sinistra è a contatto con il retro della schiena – nella zona dei reni – e l’albero stesso. È necessario respirare a lungo e profondamente per avvertire una nuova sferzata di energia.

ORTOTERAPIA

L’ortoterapia o terapia basata sul piacere di dedicarsi alla coltivazione di un piccolo orto o delle piante che si tengono in casa, è stata introdotta come supporto alle cure convenzionali in diversi ospedali, nel mondo e anche in Italia. In queste realtà dove è nato un orto-giardino curativo dedicato ai malati di Alzheimer si sono visti notevoli risultati in termini di benefici per benessere e salute dei pazienti. Non a caso, prendersi cura del proprio orto è un vero e proprio antistress naturale e per chi avesse la possibilità di coltivare delle piantine aromatiche in ufficio o sul luogo del lavoro potrà godere di benefici nella produttività sul lavoro e nella concentrazione.

GARDEN THERAPY

La garden therapy o horticultural therapy si intende una riabilitazione attraverso la natura, che comprende la piantagione e la cura di fiori, piante e ortaggi, ma anche programmi di educazione ambientale e paesaggistica e progetti di sostegno per persone con vari problemi, come quelli connessi all’invecchiamento. Vera forma di terapia olistica, è utile a promuovere la salute ed il benessere interiore associando la cura del giardino, con particolare riferimento a piante e fiori, e in alcuni casi all’aromaterapia al benessere psico-fisico. Nella garden therapy, infatti, la stimolazione positiva del nostro olfatto da parte dei profumi emanati dalle corolle e dalle erbe aromatiche si tramuta in una sensazione di serenità, infonde speranza e desiderio di impegnarsi.

PET THERAPY

La Pet Therapy è la terapia della cura del contatto con gli animali domestici e non, la quale consente agli ammalati o alle persone in difficoltà di migliorare le proprie condizioni di vita e di salute. In diversi parte del mondo è consentito ad esempio a cani e gatti accedere alle strutture ospedaliere sia pubbliche che private, in modo che i pazienti possano trarre beneficio dalla loro compagnia.

  

APPENDICE

DIFFERENZA TRA BAGNO FORESTALE E TERAPIA FORESTALE[3]

L’ “immersione forestale” è la frequentazione libera, contemplativa e in assenza di esercizio fisico o, al più, brevi passeggiate. Mentre il cosiddetto «bagno di foresta», locuzione tradotta in inglese come forest bathing e derivata dal giapponese «Shinrin-Yoku», ne rappresenta un’evoluzione che prevede l’organizzazione di attività di promozione della salute come brevi camminate e semplici attività rilassanti, spesso con accompagnamento di una guida e limitato a una singola sessione. La «terapia forestale», invece, è molto più strutturata. Prevede itinerari guidati dove mettere in pratica precise attività, tra cui camminata consapevole, meditazione, esercizi del respiro, yoga, esercizi di Qi-Gong (si riferisce a una serie di pratiche e di esercizi collegati alla medicina tradizionale cinese e in parte alle arti marziali che prevedono la meditazione, la concentrazione mentale, il controllo della respirazione e particolari movimenti di esercizio fisico) e semplici attività manuali. La terapia forestale è spesso organizzata in programmi a lungo termine con sessioni ripetute in foresta e talvolta dirette a specifici gruppi di persone, generalmente condotte da professionisti in stretta collaborazione con operatori sanitari, permettendo di ottenere i migliori risultati per la salute.

IL PROTOCOLLO DI TERAPIA FORESTALE

La terapia forestale, chiamata «Forestfulness» si basa su vere e proprie sessioni terapeutiche, svolte con persone qualificate, ispirate al protocollo di Mindfulness, in cui l’elemento naturale diventa protagonista. La camminata consapevole diventa così un modo di essere pienamente consapevoli del momento presente, senza giudizio e con un’attitudine di accettazione e curiosità. Il protocollo messo a punto da Cai e Cnr si compone di sei passaggi:

La giusta attitudine: ovvero l’intenzione e l’empatia con cui si affronta il bagno nella foresta. Dimenticare l’attaccamento: ovvero entrare nel bosco con leggerezza, lasciando andare tutti i pensieri e le emozioni pesanti, il chiacchiericcio mentale e le proiezioni nel futuro. **Camminare consapevolmente: **la camminata consapevole è una delle pratiche principali della Mindfulness e camminare in ambienti naturali può abbassare la pressione sanguigna e i livelli di cortisolo. Respirare il bosco: l’attività immaginativa, di visualizzazione nel “respirare il bosco” assorbendone l’energia, abbinata a una specifica tecnica di respirazione finalizzata allo scarico delle tensioni e alla ricarica energetica, trasporta progressivamente in quel processo di identificazione con l’ambiente dal potere liberatorio. L’uso dei sensi: attraverso l’aromaterapia sia con i profumi direttamente percepibili, sia con l’inalazione di certi composti organici volatili, detti BVOC. Oppure utilizzando la vista, osservando intenzionalmente il paesaggio circostante o un oggetto in particolare. La meditazione con l’albero: è l’incontro finale con se stessi sulla scia di un simbolismo ancestrale e archetipo. L’albero è simbolo di radicamento alla terra e, allo stesso tempo, rappresenta un impulso vitale con la sua determinazione a proiettarsi verso il cielo, in cerca del sole e della luce.

[1] Federica Zabini

[2] La Terapia Forestale-Alice Rosati

[3] La Terapia Forestale-Alice Rosati

Come riportato nei precedenti articoli, vi è una STRETTA CORRELAZIONE tra i cannabinoidi e gli effetti benefici sull’organismo umano.

Ovviamente non tutti i cannabinoidi, come abbiamo visto hanno gli stessi effetti.

I cannabinoidi o cannabinoli sono sostanze chimiche di origine naturale e biochimicamente classificati come terpenofenoli.

Sono composti accomunati dalla capacità di interagire con i recettori cannabinoidi.

 I fitocannabinoidi sono terpenoidi bioattivi trovati in alcune piante angiosperme, piante epatiche e funghi.

Inizialmente si pensava che fossero solo presenti nella Cannabis sativa ma successivamente è stata scoperta la presenza nella specie Rhododendron, in alcuni legumi, nel genus Radula delle piante epatiche e in alcuni funghi.

Tra i più famosi da noi analizzati abbiamo riscontrato il THC (è uno dei maggiori e più noti principi attivi della cannabis e può essere considerato il capostipite della famiglia dei fitocannabinoidi) e il CBD ( è un composto chimico scoperto nella Cannabis sativa essiccata e nell’hashish nel 1940. È uno dei 142 fitocannabinoidi identificati nelle piante di Cannabis sativa. Si trova anche nelle foglie della cannabacea filogeneticamente più vicina alla Cannabis sativa, il luppolo, e può essere prodotto anche per sintesi chimica).

I cannabinoidi, come per le piante se vogliamo sono presenti indirettamente anche nel corpo umano sotto forma di recettori per cannabinoidi e tali recettori sono gestiti dal nostro Organismo attraverso il Sistema Endocannabinoide umano.

Il Sistema Endocannabinoide Umano viene definito come: “un sistema biologico di comunicazione tra le cellule. Si tratta di uno dei più complessi e più importanti sistemi del nostro corpo, che contribuisce a regolare gran parte delle funzioni vitali. Inoltre, il suo compito è anche quello di mantenere l’omeostasi dell’organismo, cioè il suo delicato equilibrio interno, che viene messo a repentaglio dalle condizioni esterne dell’ambiente”.[1]

Come nel caso del sistema oppioide che reagisce agli oppioidi (morfina, codeina), l’organismo umano dispone di un sistema recettore distinto per i cannabinoidi.

Il sistema endocannabinoide (ECS) contiene i recettori dei cannabinoidi (CB) e influenza l’attività di molti altri sistemi del nostro organismo.

I fitocannabinoidi della pianta di cannabis funzionano in modo simile agli endocannabinoidi prodotti naturalmente dall’organismo.

Il cervello umano e altri organi contengono i recettori dei cannabinoidi (CB) presenti in natura e le sostanze chimiche che si legano a essi e li gestiscono attraverso il sistema endocannabinoide (ECS).

Il ruolo dell’ECS è quello di mantenere la capacità del nostro corpo di funzionare normalmente influenzando il funzionamento di altri sistemi. Ricopre un ruolo cruciale nel nostro sistema nervoso e regola molteplici processi fisiologici. Tra questi è compresa la regolazione della risposta al dolore, l’appetito, la digestione, il sonno, l’umore, l’infiammazione e la memoria.

L’ECS influenza anche le soglie di crisi (ad esempio nell’epilessia), la coordinazione e altri processi come il sistema immunitario, la funzione cardiaca, l’integrazione sensoriale (tatto, equilibrio, senso dello spazio), la fertilità, la fisiologia ossea, il sistema centrale di risposta allo stress (HPAA), lo sviluppo neurale e la pressione oculare.

Gli endocannabinoidi (che consistono nei cannabinoidi prodotti internamente dal corpo umano),  sono le molecole di segnalazione molto diffuse nell’organismo, i quali agiscono sui recettori dei cannabinoidi o li stimolano e che si legano agli stessi recettori sensibili al THC.

Questi composti agiscono in modo simile ai fitocannabinoidi che a loro volta si legano a quegli stessi recettori.

I cannabinoidi vegetali, come suddetto, sono detti fitocannabinoidi. Sono i costituenti unici della pianta di cannabis. Il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD) sono gli elementi costitutivi principali. Vi sono altri cannabinoidi ma di questi se ne sa molto meno.

La scoperta degli endocannabinoidi deriva dal lavoro di un gruppo di ricercatori del National Institute of Mental Healt (NIMH), tra i quali la ricercatrice, Lisa A. Matsuda, nel 1990 formulò la presenza di una rete di recettori, attivati dai cannabinoidi.

Tale scoperta deriva del lavoro degli scienziati che intenti a capire in che modo il principio attivo delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) interagisse con l’organismo, trovarono i recettori CB1.

La presenza di tali ricettori fu oggetto di molta curiosità da parte della comunità scientifica e dopo due anni di studi, si giunse ad una nuova scoperta: la presenza di cannabinoidi prodotti dall’organismo (chiamati appunto endocannabinoidi), ovvero di molecole di segnalazione molto diffuse nell’organismo, che si legano agli stessi recettori sensibili al THC. Questa prima sostanza identificata venne chiamata Anandamide e poco dopo venne individuato un secondo tipo di endocannabinoide. Questo si legava non solo con i CB1, ma anche con un secondo tipo di recettore: così vennero scoperti anche i CB2.

Nelle specie animali, dai mammiferi, ai rettili agli invertebrati è presente il sistema endocannabinoide e se pensiamo che l’animale più primitivo in cui sia stata trovata questa “segnaletica” è lo schiavo marino, un animale evoluitosi oltre 600 milioni di anni fa è plausibile ritenere che il sistema biologico fosse già presente, prima dell’arrivo della cannabis sulla Terra.

CARATTESTICHE DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE UMANO [2]

TRE sono gli elementi utili a descrivere il sistema endocannabinoide quale sistema complesso di comunicazione delle cellule: gli endocannabinoidi, i recettori e gli enzimi.

  1. ENDOCANNABINOIDI: sono molecole che registrano le variazioni delle condizioni esterne e attivano i recettori, per trasmettere dei segnali alle cellule, così da permettere loro di innescare una risposta. Le prime due molecole del sistema conosciute sono state l’Anandamide e il 2-Arachidonoilglicerolo (2-Ag), che sono già presenti nel nostro organismo e vengono rilasciate “su richiesta”. Una volta eseguita la propria funzione, gli endocannabinoidi vengono distrutti.
  2. RECETTORI: recettori CB1 e CB2, che si trovano nella membrana di diversi tipi di cellule. Uno studio del 2005 ha mostrato che i CB1 sono presenti soprattutto nelle cellule nervose dell’encefalo (neuroni) del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e sono distribuiti in particolare nella corteccia, nell’ippocampo, nell’amigdala, nei gangli e nel cervelletto, responsabili del movimento, delle funzioni cognitive complesse, dell’apprendimento, della memoria e delle emozioni. Recettori CB1 sono presenti anche nelle cellule di polmoni, muscoli, organi riproduttivi, fegato e nel sistema cardiovascolare. Il CB2, invece, sono espressi principalmente a livello periferico e sono presenti nelle cellule di ossa, milza, colon, pancreas e nel sistema immunitario. ll recettore CB1 si trova in una serie di regioni del cervello che controllano varie funzioni fisiche e comportamentali. I cannabinoidi influenzano quindi, la risposta sensoriale e motoria (movimento), la frequenza cardiaca, le reazioni emotive, l’appetito e la nausea/vomito, la sensibilità al dolore, l’apprendimento e la memoria e il processo decisionale di alto livello. Il compito dei recettori degli endocannabinoidi è regolare il rilascio di altri messaggi: i CB1, infatti, interferiscono con i neurotrasmettitori, per proteggere il SNC (sistema nervoso centrale) dalla sovra stimolazione, mentre i CB2 regolano l’attività del sistema immunitario.
  3. ENZIMI: hanno il compito di degradare le molecole, una volta che hanno svolto la loro funzione. In questo modo, viene evitato un accumulo degli endocannabinoidi all’interno dell’organismo.

FUNZIONI DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE [3]

La presenza di recettori di endocannabinoidi è stata rilevata in diversi organismi, umano e animale.

In base a questa localizzazione, sono state sottolineate le diverse funzioni che il sistema svolge, contribuendo alla regolazione di un numero elevato di processi fisiologici.

Secondo lo studio del 2008 pubblicato da John M. McPartland, si sono riscontrate evidenze di come il sistema endocannabinoide influenzi le principali strutture dell’organismo.

Lo scienziato ha evidenziato che, data la presenza dei recettori da oltre 600 milioni di anni, la loro funzione deve essere “importante dal punto di vista evolutivo”.

Non a caso, i CB1 sono stati individuati già negli embrioni del topo, suggerendo un ruolo importante nei processi di sviluppo nel cervello embrionale.

Fondamentale è anche la funzione di neuro protezione svolta dai recettori, che regolano il rilascio dei neurotrasmettitori, evitando la sovra stimolazione del Sistema Nervoso: quando un neurone è molto attivo rilascia endocannabinoidi, che reprimono l’impulso di eccitazione e di inibizione sul neurone.

I recettori dei cannabinoidi sono recettori accoppiati alle proteine G (GPCR). I GPCR si trovano sulla superficie delle nostre cellule. Si dice che questi recettori “agiscono come una casella di posta in arrivo per i messaggi, dialogando con le cellule e quindi con il nostro organismo”. I GPCR svolgono svariate funzioni nel corpo umano. Di conseguenza, molti farmaci, tra cui la cannabis medicinale, agiscono sui GPCR. Gli esseri umani producono endocannabinoidi che interagiscono con i GPCR CB1 e CB2. Quelli più noti sono l’anandamide (AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG).

Un altro ruolo importante del sistema riguarda i processi dello sviluppo neurologico: gli endocannabinoidi, infatti, influenzano la plasticità sinaptica, che consente al Sistema Nervoso di modificare le connessioni tra neuroni e crearne di nuove.

Fondamentale è anche la azione di immuno-modulazione attuata dai cannabinoidi endogeni i quali svolgono una un’azione antinfiammatoria e agiscono sullo stimolo della fame, sull’umore e sulla mancanza di sonno.

E’ stata individuata anche l’importanza della azione del sistema endocannabinoide anche sulle cellule ossee osservando il comportamento dei topi con osteoporosi: la somministrazione di un cannabinoide sintetico, infatti, provocava danni alle ossa nei topi senza recettori.

Si è dedotto pertanto che “i recettori cannabinoidi sono strumentali nella regolazione della densità ossea”.

I recettori CB1 sono presenti anche nelle terminazioni nervose simpatiche: per questo, con la loro attivazione viene alleviato il “dolore mediato dal simpatico”. In base alla posizione dei recettori dei cannabinoidi, i ricercatori hanno individuato i principali ruoli del sistema endocannabinoide, che interagisce con la memoria, la cognizione, il movimento, l’appetito, le emozioni e il dolore.

Nonostante la sua interazione con i cannabinoidi vada ancora approfondita, la presenza del sistema endocannabinoide in organismi di livello inferiore e la localizzazione dei suoi recettori, suggeriscono il suo ruolo fondamentale.

Infatti, grazie alle capacità comeregolatore della maggior parte dei processi fisiologici di un organismo, il sistema endocannabinoide è considerato uno dei più importanti sistemi presenti nel nostro corpo, utile per il mantenimento dell’omeostasi.

 

[1] https://www.clinn.it/

[2] https://bedrocan.com

https://www.clinn.it/

[3] Clinn.it

Il nostro corpo necessita di cure costanti poiché, come tutti gli organismi viventi è un sistema che richiede energie e risorse per svolgere le proprie funzioni vitali al fine di agire per il sostenimento della vita stessa.

Come tutti i sistemi NATURALI, è dinamico, in continua evoluzione e mutevole nel tempo e nello spazio e per questo necessita continuamente di attenzioni, “manutenzione” e interesse da parte nostra.

Se assumiamo come dato che il notro corpo è come un Tempio, la nostra vera CASA, assicurarsi i migliori metodi e strumenti per curare, sanare e migliorare il nostro organismo è sicuramente uno degli obiettivi principali sui quali si fonda la MEDICINA.

La famosa medicina occidentale moderna è la più classica, con fondamento scientifico certo e che nella storia, dalla sua lontana nascita ad oggi, ha sostenuto l’umanità costantemente.

Non sempre però, la medina classica ha portato solo benefici, anzi, in alcuni casi è risultato addirittura dannosa e se riflettiamo sul concetto di Naturale, dovremmo concordare che l’avvicinarsi ad una metodologia scientifica che possa essere veramente compatibile con il nostro corpo non può altro che significare il prediligere un metodo che si basei sulla NATURA stessa.

Per questo motivo, oggi vogliamo soffermarci su un tipo di medicina alternativa o complementare più semplice e sicuramente compatibile con il corpo: la Medicina Naturale nella quale la FITOTERAPIA è certamente una disciplina sulla quale soffermarsi.

Vediamo di seguito tutti i dettagli.

DEFINIZIONE & CARATTERISTICHE[1]

La Fitoterapia, dal greco “phyton” (pianta) e “terapeia” (cura), è una medicina naturale basata sull’uso di piante o estratti vegetali per la cura delle malattie o per il mantenimento del benessere psico-fisico.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le piante medicinali sono organismi vegetali che contengono sostanze attive dal punto di vista farmacologico che possono essere utilizzate a fini terapeutici.

Questo insieme di sostanze prende il nome di “fitocomplesso” e determina le caratteristiche terapeutiche o preventive dominanti della pianta.

La fitoterapia è la scienza medica che studia il corretto utilizzo delle piante medicinali e dei loro derivati, allo scopo di trattare o prevenire svariate malattie e condizioni di interesse prettamente medico (farmaci) o salutistico (integratori).

La Fitoterapia è oggi accreditata come parte della medicina ufficiale.

L’origine del nome è duplice: il termine “fitoterapia” deriva dal greco “phytòn”, che significa “pianta”, ma allo stesso tempo anche “creatura”.

Tale concetto è interessante in quanto se guardiamo con maggiore attenzione, il nome “creatura” nasconde un significato più profondo,  in quanto se la radice del nome Fitoterapia deriva dal verbo “Phyto”(generare ed essere generati), il quale indica il processo di creazione e generazione di un essere vivente, balza agli occhi il forte parallelismo che intercorre tra il termine “pianta o creatura” e il termine “uomo” o il termine “vita”, come se appunto, l’uomo o la vita fossero incarnati dal concetto di pianta e la fitoterapia fosse la medicina per la vita dell’uomo-pianta-creatura.

La fitoterapia è la disciplina che studia l’utilizzo delle piante medicinali e le loro preparazioni per scopi terapeutici.

Inserita come disciplina che studia le sostanze naturali all’interno del settore della farmacognosia (branca della farmacologia che si occupa dello studio di farmaci ricavati da fonti naturali, o “droghe”), la fitoterapia è una scienza definita ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

Non ha distinzioni dalla medicina “classica” per metodologia diagnostica o basi terapeutiche, ma si distingue per l’utilizzo di estratti e prodotti derivati dalle piante medicinali che contengono più principi attivi nel loro “fitocomplesso” (Biagi et al., 2016), ossia dall’insieme delle sostanze che lo compongono e la loro interazione con il principio attivo.

Le piante hanno costituito, nel corso dei millenni, la prima fonte di principi medicamentosi per l’uomo, ma hanno fornito anche le basi per lo sviluppo scientifico della terapia farmacologica moderna.

L’OMS ha stimato che almeno l’80% della popolazione mondiale trova nelle piante la principale, se non esclusiva, fonte terapeutica (Monti e Giachetti, 2005).

STORIA & ORIGNI

La sua storia ha radici antiche e rappresenta il primo vero esempio di pratica terapeutica umana e avendo avuto una diffusione capillare dal punto di vista geografico in tutti i continenti nel corso del tempo, è molto difficile connotarla come un sistema terapeutico specifico, anzi, viene meglio definita come il sistema terapeutico di utilizzo della piante come base portante di tutti gli altri sistemi terapeutici umani, passando da quelli più antichi e basati su osservazione ed empirismo, a quelli più sofisticati e con livelli di complessità teorica elevata, fino alla moderna biomedicina.

Fin dalla antichità nella cultura popolare è stato sempre presente l’utilizzo della medicina naturale per scopi terapeutici e rimedi fatti in casa fai da te, soprattutto quella legata alla fitoterapia.

Lo stesso Ippocrate, in epoca greca riporta nei suoi scritti il rimedio come terzo strumento del medico accanto al tocco e alla parola.[2]

Da fonti storiche sembra che i primi ad avere l’idea di impiegare le piante a scopo curativo furono i Caldei, sapienti babilonesi che dedicavano la loro esistenza all’osservazione delle leggi della natura.

I babilonesi acquisirono gran parte delle loro conoscenze dagli Egizi, i quali, a loro volta le impartirono agli antichi Greci: si pensi alla figura del mitico Esculapio, i cui sacerdoti praticarono per secoli la fitoterapia.

Le fonti dell’epoca antica riportano diverse teorie: in accordo alla teoria della metempsicosi, si riteneva che le sostanze vegetali provassero delle sensazioni quali il dolore e il piacere.

Anche Pitagora e i suoi discepoli appoggiavano queste ipotesi: Empedocle d’Agrigento ad esempio dichiarò di essere stato in vite precedenti un arbusto, un uccello, un pesce e solo successivamente un uomo.

Tuttavia, solo nel v sec. A. C., con Ippocrate, iniziò l’era della Fitoterapia su basi scientificamente più credibili, tanto che il padre fondatore della fitoterapia è considerato il più grande e famoso medico dell’antichità: Ippocrate.

Seguendo la legge dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) la dottrina d’Ippocrate si fonda su quattro elementi cardinali dall’equilibrio dei quali dipende la salute (eucrasia) o la sua assenza con la mattia (discrasia):

  1. Sanguis (sangue) legato al cuore all’elemento ARIA
  2. Flegma (muco) legato alla Testa e all’elemento ACQUA
  3. Melancholè (malinconia o bile nera) legato alla milza e all’elemento TERRA
  4. Colè (bile gialla della cistifellea legata alla collera) legato al fegato e all’elemento FUOCO

Secondo le teorie di Ippocrate, tutte le malattie percorrono tre stadi, ovvero l’apepsia (dal gr. ἀπεψία, comp. di ἀ- priv. e πέψις «digestione», in medicina, diminuzione o cessazione delle secrezioni digestive, in partic. di quelle gastriche), la pepsia e l’escrezione (dal lat. tardo excretio -onis «vagliatura», der. di excernĕre «vagliare, evacuare», part. pass. Excretus, in fisiologia, l’insieme dei vari processi e atti con i quali sono eliminati e versati all’esterno i prodotti di secrezione delle ghiandole esocrine).

La botanica fu anche rivista dal piano strettamente filosofico dapprima da Aristotele e dopo anche da altri filosofi minori.

All’inizio dell’impero romano si trova una grande quantità di testi medici, trai quali ricordiamo in particolare modo i testi del medico militare Dioscoride, che scrisse un’importante materia medica, completata da Plinio il Vecchio.

A seguito delle invasioni Barbariche la scienza medica, come l’intera civiltà mediterranea, subì un brusco arresto.

L’Asia divenne quindi, il luogo privilegiato per gli studi scientifici: ricordiamo ad esempio l’opera di Galeno, nella quale si anela al ritrovamento della regolarità tra la sostanza di un farmaco e il suo effetto per via empirica-sperimentale; oppure le opere di illustri medici arabi quali Avicenna.

Durante il Medioevo le piante venivano utilizzate nel trattamento di molti disturbi e per alleggerire le sofferenze dei malati in quanto, vista l’assenza dei moderni medicinali la cui origine deriva dalla sintetizzazione di molecole (che spesso nle 99% dei casi sono di origine naturale); si utilizzavano le piante e le materie prime che la natura metteva a disposizione coltivando specificatamente le piante da guarigione di cui si conoscevano gli effetti o sfruttandole come semplici erbe medicinali da applicare al momento.

Sebbene nella popolazione non vi fosse una conoscenza scientifica dell’utilizzo delle piante e della loro azione o applicazione, si praticava da sempre di fatto, l’uso della fitoterapia come medicina semplificata rispetto al concetto di medicina moderna che oggi abbiamo.

L’uso e la conoscenza dei rimedi naturali venivano tramandati di generazione in generazione come vero e prorpio patrimonio di esperienza atto al mantenimento del corpo in salute.

Solitamente la fitoterapia sembra plausibile avesse maggior successo laddove venisse applicata per sanare i mali minori e servisse di meno per la patologie più gravi per le quali si ricorreva per disperazione a riti e preghiere.

La scienza ricevette un nuovo impulso soltanto a partire dalla metà del XVI nell’Europa del Nord.

In realtà vennero riprese le conoscenze degli antichi, ma venne dato loro un impulso propriamente scientifico.

Di fatto, gli antichi avevano osservato le leggi della natura da un punto di vista filosofico-fideistico: affascinati dalla bellezza e dalla sublimità della natura, finendo con l’escludere un approccio razionalistico di causa-effetto.

Fu soprattutto grazie allo svizzero Brunfels, a Gesner e al naturalista Cesalpino se la botanica fece un passo avanti all’inizio del ’500. La loro opera venne continuata in seguito ad illustri botanici quali Morison, Ray, Malpighi, Camerarius, Tournefort.

A quell’epoca il nuovo impulso dato ad ogni branca della scienza, inclusa la letteratura medica-botanica, venne peraltro favorito dall’invenzione e diffusione della stampa, grazie alla quale fu possibile l’affermarsi di tutte le novità scientifiche.

In particolare, Paracelso fu il fondatore della chimica moderna che si coniò come fitoterapia ed alchimia e Linneo con la nuova classificazione scientifica della botanica diede un impulso fondamentale alla conoscenza delle piante.

Lo studio della Fitoterapia raggiunse il suo apice grazie a Hufeland. Per un breve periodo Hufeland si trovò a fianco di Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia; con la Fitoterapia sperimentale si arrivò ad acquisire ulteriori conoscenze sull’effetto dei farmaci.

CONCETTI BASE DELLA FITOTERAPIA[3]

Alla base della scienza fitoterapica non esiste soltanto il concetto della totalità della persona sana o ammalata ma anche il suo inquadramento nell’ambiente.

La scienza cellular-patologica di Virchow indica lo studio della malattia locale della singola cellula contrariamente al metodo vecchio umoral-patologico d’Ippocrate che si focalizza sulla malattia totale della persona.

Una base importante della Fitoterapia è la conoscenza delle piante e del loro agente attivo isolato, la conoscenza del loro luogo d’origine, il loro aspetto e i nomi.

Inoltre, è fondamentale la conoscenza dei periodi di crescita delle piante, il periodo di raccolta e quale parte può essere utile e in quale forma.

Il medico fitoterapeuta conosce quali parti della pianta saranno distrutte o mantenute durante il procedimento dell’essiccazione, deposito e distillazione.

È importante inoltre, avere una completa padronanza nel dosaggio della pianta e delle sostanze attive e di essere in grado di giudicare i danni causati da sovradosaggio.

La Fitoterapia è costruttiva e non rivoluzionaria; basata sull’esperienza di millenni e secoli di medicina come una costante osservazione delle leggi della natura connessa ad una coscienziosa interpretazione dei risultati emersi.

La conoscenza dell’effetto della pianta singola è la base per la preparazione dei composti.

Le piante che vengono date come rimedi singoli sono evidenziate per il loro effetto concentrato (Digitalis, Strophanthus, Scilla, Helleborus niger, China, Secale corn., Rubia, Camphora, Veratrum alb. e vir., Nux vom., Ipecacuanha, Opium ecc..

Questo tipo di piante richiede una preparazione ed un dosaggio particolarmente controllato mentre i rimedi composti hanno caratteristiche assai differenziate”.[4]

La FITOTERAPIA in EPOCA ODIERNA

Sebbene con l’avvento e il boom della medicina moderna nel XX secolo la medicina alternativa, complementare e dunque naturale è stata accantonata o considerata meno affidabile, con l’arrivo del nuovo secolo, visto il fallimento della medicina moderna in molti casi e con l’attenzione maggiore ad ad un approccio NATURALE, energetico, autentico e puro la fitoterapia e la sua applicazione sono letteralmente fiorite.

Anche l’attenzione maggiore ai temi climatici, di eco sostenibilità, la scelta di comportamenti sempre più green oriented, focalizzati sul rispetto della natura, del pianeta, degli animali, sull’evitare sprechi e su un più consapevole sfruttamento delle risorse ha portato ad avvicinarsi sempre di più al mondo dei prodotti naturali senza additivi, conservanti o prodotti sintetici aggiunti, ecosostenibili a zero impatto ambientali, cruelty free, green lifestyle che perfettamente rispecchiano l’approccio della fitoterapia.

Inoltre, molte persone hanno potuto sperimentare con mano come la medicina complementare o alternativa, spesso più filosofica, energetica e orientale sia davvero efficace e sia molte volte, superiore alla medicina moderna occidentale che spesso veniva considerata in passato infallibile.

Una buona fetta della popolazione ha quindi registrato una maggiore attenzione ed una spiccata sensibilizzazione nei confronti della fitoterapia.

L’approccio della fitoterapia moderno è lo stesso di quello utilizzato dalla medicina occidentale, con principi che si fondano su prove di efficacia, impiegando però soltanto rimedi di origine vegetale.

Secondo L’OMS sono da considerarsi fitomedicine “i prodotti medicinali finiti, provvisti di etichetta, che contengono come principi attivi esclusivamente delle piante o delle associazioni di piante allo stato grezzo, sotto forma di preparati. Comprendono anche succhi, gomme, frazioni lipidiche, oli essenziali e tutte le altre sostanze di questo genere”.

Spesso, queste fitomedicine sono a tutti gli effetti dei farmaci di origine vegetale, perché finalizzati a svolgere un’azione terapeutica.

Il loro effetto dipende dalla natura e dalla concentrazione dei costituenti chimici farmacologicamente attivi: sebbene per ogni fonte vegetale siano stati grossomodo identificati dei principi attivi caratteristici, a cui si ascrive una certa azione terapeutica, nella fonte vegetale sono presenti altre straordinarie miniere di sostanze complementari che contribuiscono a modularne l’azione (attraverso il concetto di fitocomplesso).

Il FITOCOMPLESSO è l’insieme delle molecole direttamente estratte dalla fonte.

Mentre per PRINCIPIO ATTIVO si intende l’agente accertato che determina la terapia; concetto introdotto da Paracelso, il padre della chimica farmaceutica.

L’azione terapica esercitata dalla fonte vegetale, che è la stessa di quella del singolo principio attivo, è data dalla somma degli effetti del principio attivo con quelli del fitocomplesso.

La somministrazione della fonte naturale può determinare minori controindicazioni rispetto all’uso del principio attivo isolato chimicamente; questo perché il fitocomplesso ha un’azione sinergica al principio attivo e contribuisce a modularne l’azione.

“Il ricorso alle fonti naturali è presente in tutte le società ed è anche diversificato; in particolare, nella società occidentale il ricorso alle fonti naturali è mediato da tante culture e tradizioni; i prodotti terapici oggi in commercio sono quindi il frutto di un compromesso tra tradizione e richiesta di mercato.

Una fonte naturale può annoverare svariate proprietà terapiche, che devono necessariamente essere supportate da riscontri clinici, in altre parole queste proprietà devono essere scientificamente dimostrate.

Ogni fonte vegetale va studiata dal punto di vista chimico e saggiata in clinica.

Inoltre, ogni fonte subisce delle trasformazioni specifiche che rispecchiano l’interpretazione di impiego clinico tipiche della società in cui va messa in commercio. Oggi, l’opinione comune presta molta attenzione all’aspetto naturale del prodotto terapico.

Il ricorso al prodotto naturale in ogni sua manifestazione e contesto si fa sentire con sempre maggiore intensità dalla comparsa delle cosiddette malattie iatrogene, cioè di quelle malattie determinate dall’uso prolungato e inadeguato di farmaci; in altre parole, si tratta di disturbi che possono conclamarsi in patologie come risultato di una cronicizzazione delle controindicazioni.

Dal 1995 al 2005 in Europa c’è stato un incremento del 400% della vendita di prodotti fitoterapici; nel (2008) questo incremento si è assestato con un leggero decremento del 12%.

Lo strepitoso successo dei prodotti fitoterapici si spiega mediante l’interesse dell’opinione pubblica ad utilizzare prodotti efficaci tanto quanto i farmaci ma in assenza di controindicazioni d’impiego”.[5]

Con la forte espansione della fitoterapia il mercato richiede sempre di più medicine naturali e i ricercatori, per fa fronte a questo trend in crescita sono costantemente dediti alla ricerca e scoperta di nuove fonti vegetali.

La maggior parte delle fonti naturali utilizzate in fitoterapia hanno provenienza delle foreste, in particolar modo da quella amazzonica, da cui si traggono i 4/5 delle molecole conosciute con interesse applicativo.

Al fine di incrementare il numero di fonti Il ricercatore può attingere anche alle etnomedicine (ovvero la medicina acquisita istintivamente da una determinata etnia) o alle conoscenze dello shamano.

Il ricercatore per poter svolgere una analisi dettagliata dopo aver raccolto tali fonti dalla popolazione locale e dal territorio le trasferisce in laboratorio per esaminarle a fondo attraverso particolari studi botanici, chimici, fitochimici), che gli consentano di individuare quei princìpi attivi che ne determinano l’effetto terapeutico desiderato.

Tali studi effettuati dal ricercatore consentono di capire ed individuare la conferma o la smentita delle informazioni raccolte dalla cultura shamanica o endemica o addirittura possono portare alla scoperta di nuovi effetti terapici per disturbi o patologie più comuni nel mondo occidentale.

Visto il numero enorme di specie vegetali e relativi principi attivi o sostanze potenzialmente vantaggiosi ai fini della fitoterapia ancora non scoperti, il bagaglio dal quale attingere per la ricerca è veramente sconfinato e molto sfidante.

Al giorno d’oggi si stima che dalle specie vegetali derivi oltre il 40% dei farmaci monomolecolari per via diretta (per estrazione) o indiretta (semisintesi).

In laboratorio vengono realizzati e creati grazie alla conoscenza dei ricercatori chimici sulle molecole chiave per l’interazione recettoriale, i farmaci definiti di “assoluta sintesi”, che possono anche esserep potenziati e migliorati creando un composto non presente in natura, ma che dalla natura comunque deriva, perché derivante da una molecola naturale ben nota.

Per naturale si intende infatti, tutto ciò che proviene dalla natura o che può derivare da essa.

Oggi si predilige il farmaco naturale, piuttosto che quello di sintesi, non solo per un interesse modaiolo, ma anche perché si ha la consapevolezza che il prodotto di sintesi può avere più controindicazioni di quello derivato direttamente dalla natura.

 LA FITOTERAPIA “FUNZIONA”? QUALITÀ ED EFFICACIA DEI PRODOTTI FITOTERAPICI[6]

I prodotti vegetali di pertinenza farmaceutica hanno tutti rigorosi controlli analitici e tutti gli estratti in commercio sono “standardizzati”, cioè sempre uguali a sé stessi per composizione e, di fatto, per attività biologica.

Nel settore dell’integrazione alimentare, i requisiti fitochimici obbligatori sono molto minori e si rifanno soprattutto alla sicurezza di impiego; per tale motivo, la qualità dei botanical food supplement è decisamente variabile ed è comune imbattersi in farmacia o erboristeria in prodotti che magari contengono le stesse preparazioni vegetali, ma con titoli completamente diversi o addirittura preparazioni non titolate.

Come orientarsi in tal caso? Come emerso chiaramente, le piante medicinali hanno riferimenti bibliografici ben precisi e testi ufficiali di riferimento e il medico, il farmacista, l’erborista e le altre figure professionali operanti nel settore rappresentano le figure preparate a cui rivolgersi.

A titolo esemplificativo basta dire che un prodotto a base di mirtillo nero che non riporta la titolazione non dà nessuna garanzia di efficacia.

Le domande che dovrebbero essere discusse sempre quando si parla di fitoterapia moderna e razionale sono queste, quindi, ad esempio: il mirtillo nero ha razionale scientifico per il suo utilizzo per le problematiche venose? Sì, se e solo se si utilizza a corretto dosaggio il suo estratto secco titolato al 36% in antocianosidi totali; no, se si utilizzano prodotti non titolati o sottodosati.

Gli stessi esempi si possono applicare per comprendere meglio la qualità di qualunque prodotto, da un olio essenziale, fino ad arrivare agli spray gola contenenti propoli: la conoscenza chimica di un prodotto vegetale garantisce qualità, sicurezza ed efficacia.

FITOTERAPIA E MEDICINA[7]

A dimostrazione del razionale utilizzo delle piante medicinali e delle loro preparazioni in medicina convenzionale, moltissimi fitoterapici (tra cui le specifiche preparazioni delle piante sopra citate) sono registrati e commercializzati come farmaci, senza nessuna distinzione di iter registrativo, sperimentazione e controlli di qualità rispetto ai farmaci di sintesi. Anzi, per i moltissimi controlli di tipo botanico e farmacognostico, possiamo affermare senza dubbio di smentita che i farmaci vegetali sono quelli che devono soddisfare il maggior numero di requisiti di qualità per poter essere immessi sul mercato.

Come farmaci convenzionali, i prodotti fitoterapici sono registrati o in maniera classica, come tutti gli altri di qualunque natura, secondo la direttiva 2001/83/CE, oppure come farmaci vegetali tradizionali, se ritenuti efficaci e sicuri dall’EMA e impiegati nella Comunità Europea da almeno 15 anni (definiti THMP e normati dalla direttiva 2004/24/CE) (Biagi et al., 2016).

FITOTERAPIA E ALIMENTAZIONE[8]

I prodotti vegetali, tuttavia, hanno una versatilità di utilizzo unica nel panorama delle sostanze biologicamente attive e il loro ruolo è da sempre riconosciuto non solo in ambito terapeutico, ma anche in ambito alimentare e per la prevenzione e per il mantenimento della salute. È da questo utilizzo razionale che quasi venti anni fa si è fatto strada l’uso delle piante medicinali anche in prodotti salutistici non farmaceutici, in primis nell’integrazione alimentare.

La normativa che regola l’uso dei prodotti vegetali nell’integrazione alimentare in Italia è garantita dal DM 10/08/2018 e le specie botaniche ammesse in Italia sono quelle dell’all. 1 modificato per l’ultima volta con DD 26/07/2019.

In ambito farmaceutico e nella attuale integrazione alimentare i prodotti vegetali utilizzati sono quelli che garantiscono la massima concentrazione dei principi attivi, per cui si ricorre tipicamente all’estrazione di una “droga”, cioè la parte della pianta (generalmente allo stato secco per la migliore conservazione) contenente la massima concentrazione dei suoi costituenti biologicamente attivi.

 COME SI OTTIENE UN FITOTERAPICO[9]

Le preparazioni vegetali permettono di ottenere quel passaggio scientifico, troppo spesso sottovalutato, dalla pianta al fitoterapico propriamente detto (se in ambito farmaceutico) o al “botanical food supplement” (se in ambito nutrizionale).

Anche le semplici tisane utilizzano l’acqua bollente per estrarre i principi attivi. In questo senso le uniche eccezioni ai procedimenti estrattivi di una pianta medicinale sono rappresentate dalle polveri della droga essiccata (si può citare l’esempio dello zenzero, dei semi di psillio o altre fonti di fibre, che vengono utilizzate anche come tali) o dai succhi della pianta fresca (ad esempio echinacea purpurea, mirtillo rosso americano).

Le droghe vegetali allo stato essiccato vengono estratte con i solventi che permettono la massima resa in principi attivi. I solventi ammessi in farmaceutica e in ambito alimentare sono tutti quelli commestibili (acqua, etanolo, glicerolo, olio) e quelli che, con normativa diversa secondo la destinazione d’uso, che possono essere allontanati per evaporazione per avere residui sotto i limiti di legge.

Da una droga vegetale è possibile ottenere quindi preparazioni liquide come gli oleoliti, gli estratti glicerici o i comuni estratti alcolici che hanno definizioni ben precise, se sono prodotti secondo i dettami delle Farmacopee Ufficiali (In Italia sono testi di legittimazione la Farmacopea Ufficiale Italiana XII ed., la Farmacopea Europea 10° ed. e tutte le Farmacopee vigenti dei paesi della Comunità Europea. Una tintura, ad esempio, è una preparazione liquida che si ottiene per estrazione di una droga con etanolo, alla concentrazione riportata nelle singole monografie delle droghe stesse, mediante macerazione, percolazione o altro metodo approvato, che ha un rapporto stabilito tra droga di partenza e estratto finale (il cosiddetto rapporto droga: estratto, DER secondo l’acronimo inglese) 1:5 o 1:10. Un estratto fluido è quella preparazione liquida ottenuta per estrazione di una droga con etanolo ad opportuna concentrazione che ha DER 1:1.

Le altre preparazioni liquide, come gli estratti molli o le generiche soluzioni idroalcoliche hanno un DER variabile da droga a droga.

Per massimizzare la concentrazione dei principi attivi la moderna fitoterapia ormai è orientata sull’uso degli estratti secchi, che sono quelle preparazioni dove il solvente di estrazione è allontanato.

Una forma estrattiva diversa e tipica delle piante medicinali è quella che si attua per l’ottenimento degli oli essenziali, dove viene purificata la frazione volatile di una droga. Gli oli essenziali sono perlopiù ottenuti per distillazione in corrente di vapore, ma ad alcune droghe sono applicati altri metodi specifici (tipico l’esempio dell’estrazione a freddo delle essenze delle bucce degli agrumi).

ESEMPI DI PRODOTTI FITOTERAPICI E LORO PROPRIETÀ

Solo per fare degli esempi ben noti in medicina, sono tutti estratti e prodotti vegetali i principali lassativi e purganti (come senna, succo di aloe, psillio) i principali venotonici (ippocastano, mirtillo nero, centella), gli epatoprotettori (carciofo, cardo mariano), tutti gli adattogeni per lo stress psico-fisico (rodiola, ginseng), gli oli essenziali con effetto balsamico (eucalipto, menta, timo, pino), i principali immunomodulanti per la prevenzione e il trattamento delle malattie da raffreddamento (echinacea, pelargonio).

I fitoterapici hanno poi un ruolo ben consolidato come integrazione terapeutica o come opzione dotata di una maggiore sicurezza di impiego. Tra i tanti esempi in tal senso, merita citare le molte piante medicinali riconosciute ufficialmente per la loro attività sul sistema nervoso centrale (come la valeriana, il biancospino, la passiflora, la melissa, la lavanda, l’iperico), le piante per l’apparato gastroinstestinale (come la liquirizia, la camomilla, lo zenzero), quelle per l’iperplasia prostatica benigna (serenoa, ortica, pigeo), fitoterapici per le infezioni urinarie (mirtillo rosso americano, uva ursina), diuretici (ortosifon, betulla, ononide, ginepro, levistico) e molti prodotti ad uso cutaneo (arnica, gel di aloe, calendula).

RICERCA E SVILUPPO NELLE AZIENDE PRODUTTRICI DI FITOTERAPICI[10]

La ricerca e sviluppo e la formazione nel settore delle piante medicinali e della fitoterapia sono tra i campi di maggiore interesse attualmente e i risultati che si stanno ottenendo sono tangibili, soprattutto in Italia. Nel nostro paese sono oggi attive aziende che operano nel settore a partire dalla lavorazione iniziale del materiale vegetale, per comprendere l’estrazione, l’analisi fino alla formulazione finale di prodotti vegetali, sia in campo farmaceutico che alimentare.

FORMAZIONE IN FITOTERAPIA[11]

La formazione specifica sulla fitoterapia fa parte del curriculum studiorum della formazione in tecniche erboristiche e nei corsi di laurea in farmacia e chimica e tecnologia farmaceutiche, ma soprattutto consiste in Master, Corsi di Perfezionamento e Alta Formazione a livello universitario.

[1] https://www.fitopreparatoriitaliani.com

[2]  Fitoterapia – Parte I –, su scienzanatura.it

[3] http://www.scienzanatura.it/fitoterapia-parte-i/

[4] http://www.scienzanatura.it/fitoterapia-parte-i/

[5] www.my-personaltrainer.it

[6] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

[7] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

[8] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

[9] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

[10] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

[11] https://www.fitopreparatoriitaliani.com/

Fonti: questo articolo è stato realizzato grazie alla preziosa collaborazione del Prof. Marco Biagi, Docente dell’Università degli Studi di Siena, Dip. di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente e Direttore SIFITLab della Società Italiana di Fitoterapia. Il presente articolo è un riadattamento con alcune integrazioni di un suo testo.

Il legame tra Corpo e Mente è stato studiato in diversi ambiti dalla scienza nel corso dei millenni.

Esistono numerosi studi, ricerche ed evidenze scientifiche della forte connessione tra la psiche e le funzioni vitali del nostro organismo.

Non a caso, in numerose occasioni si nota come la mente influenzi positivamente o negativamente le funzioni dell’organismo e i processi di guarigione indipendentemente dalle cure, medicine assunte o terapie che si attuano per curare, sanare o guarire un disturbo o una patologia.

L’uomo è un’ unità psico-fisica-spirituale e deve essere compreso alla luce del paradigma Bio-Psico-Sociale, di cui, ciascuna parte non può essere scissa.

L’uomo è fatto di ANIMA e CORPO, PSICHE E SOMA, dove Psiche è il soffio vitale, la mente, e Soma è il corpo, i quali si muovono dinamicamente e mutevolmente in una dialettica infinita come due facce della stessa medaglia.

Il Corpo (Soma: dal gr. σῶμα «corpo»; lat. scient. -soma, secondo elemento di parole composte della terminologia scient., soprattutto biologica (cromosoma, mesosoma, oosoma, ecc.), che significa, in genere, «corpo») e Mente (Psiche) si influenzano vicendevolmente in quanto, il nostro ESSERE è un’unità, un TUTTO INDIVISIBILE.

Ricordiamo che in caso di malessere da parte della psiche il soggetto può esserne cosciente ed esprimerlo, magari anche ricorrendo all’aiuto di uno specialista della salute mentale; se invece di questo disagio psichico non c’è consapevolezza e c’è scarsa dimestichezza con le faccende della psiche, è il nostro corpo a farsi portatore di questo pesante macigno.

Questo meccanismo è noto, in psicologia, psichiatria e prima di tutto in psicoanalisi, con il termine “somatizzazione”: con questo processo, il corpo diventa portavoce di un malessere psicologico che nella mente sembra non avere modo di risuonare.

Non a caso esiste una intera branca del sapere detta Psiconcologia (psicologia applicata alla oncologia) che spiega in maniera esaustiva le connessioni tra salute mentale e corporea e della quale parleremo nei prossimi articoli.

Oggi analizzeremo una scienza particolare, la PNEI-PsicoNeuroEndocrinoImmunologia– disciplina che studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici.

Riportiamo di seguito maggiori dettagli.

DEFINIZIONE e CARTTERISTICHE[1]

“La PNEI – PsicoNeuroEndocrinoImmunologia – è lo studio delle relazioni tra i grandi sistemi di regolazione dell’organismo umano: il nervoso, l’endocrino e l’immunitario, e tra questi e la psiche cioè l’identità emozionale e cognitiva che contraddistingue ciascuno di noi.

I vari sistemi (PNEI – psichico, neurologico, endocrino ed immunitario) interagiscano tra loro per il raggiungimento di un’omeostasi interna dell’organismo.

A prova di tutto ciò, è stato dimostrato che le cellule immunitarie sono in grado di interpretare i messaggi provenienti dal sistema nervoso autonomo (SNA) e dal cervello.

Se mente e corpo (Psiche e Soma) sono dunque in grado di interagire, non risulta difficile accettare l’idea che l’umore (inteso come disposizione mentale, più o meno positiva, all’interpretazione degli stimoli) possa regolare, o quantomeno influenzare (o se preferiamo, interferire con) il sistema nervoso centrale, quello ormonale e quello immunitario.

Ogni stato emotivo quale amore, paura, piacere, dolore, ansia, rabbia, eccetera, con le sue complesse sfumature definite comunemente sentimenti, è generato dagli elaborati che avvengono nelle zone “nobili” (corteccia, lobo limbico, etc.) del cervello.

Questi stati emotivi vengono diffusi in tutto il corpo (e, quindi, nei singoli organi e apparati) mediante una via bioeletttrica (gli impulsi nervosi neuronali e nevrogliali) e grazie all’intervento di sostanze biochimiche definite “liganti” (che modulano il segnale fra le singole cellule), comprendenti neuropeptidi, neurotrasmettitori e ormoni.

Questi “liganti” e i relativi recettori (“serrature” specifiche situate sulla membrana cellulare) sono presenti in ogni parte del corpo e non solo nel sistema nervoso.

Ciò significa che tutto il corpo “pensa” (anche se in maniera più o meno impegnativa, a seconda della zona interessata) e che ogni cellula “sente” e prova “emozioni”, elabora le proprie informazioni e le trasmette ad ogni altra cellula attraverso una fittissima rete di comunicazione per cui ogni aspetto psicofisico umano può essere visto come una parte di un’unica realtà.

Le basi molecolari delle emozioni possono dunque essere definite come i messaggeri che trasportano informazioni per collegare tra loro i grandi sistemi dell’organismo in un’unica unità funzionale che possiamo definire corpo/mente.

La PNEI – Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia rappresenta quel settore di ricerca che abbraccia un ampio ventaglio di discipline scientifico umanistiche e, in definitiva, si pone come strumento unificante di vari aspetti del complesso quadro dei fenomeni di adattamento dell’organismo”.[2]

Questa disciplina consiste in un nuovo modello di cura della persona, il quale viene impiegato nella gestione dell’interazione reciproca tra il comportamento, l’attività mentale, il sistema nervoso, il sistema endocrino e la risposta immunitaria degli esseri umani.

Difatti, la malattia viene intesa non più come semplice definizione di una patologia determinata da specifiche cause (come ad esempio la contaminazione batterica), ma come un UNICUM, un insieme di interazioni psicosociali su cui è possibile intervenire.

Il concetto di PNEI, ormai presente nel panorama medico da circa 30 anni, ben si sposa con questo concetto di UNICUM suddetto per il quale agisce a livello di organismo su diversi piani (attraverso l’attività mentale, il sistema nervoso, il sistema endocrino e la risposta immunitaria degli esseri umani) in modo da studiare e poi applicare in modo unificato sistemi psico-fisiologici che come detto sono stati analizzati da sempre in maniera separata e indipendente.

La PNEI integra questi assi neuro-ormonali:

  • l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
  • l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide
  • l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi
  • l’asse ipotalamo-spinale-midollare.

A metà degli anni ’80 la ricerca scientifica ha scoperto la produzione da parte dei linfociti (tipi di globuli bianchi e quindi adibiti al sistema immunitario) dell’ormone TSH (ormone ipofisario che stimola la tiroide alla produzione di T3 e T4) e altre molecole con attività neuroendocrina.

Inoltre, la ricerca ha evidenziato come il linfocita può ricevere segnali sia dal sistema nervoso centrale, che dal sistema endocrino.

Dunque, esiste un’unica rete funzionale e integrata costituita da mediatori comuni che sono le citochine, i neurotrasmettitori e gli ormoni (rispettivamente mediatori del sistema immunitario, del sistema nervoso e del sistema endocrino).

Questi 3 sistemi lavorano quindi insieme coordinati e i mediatori (molecole) agiscono su tutti e tre i sistemi e possono influenzare non solo il proprio apparato di provenienza, ma anche gli altri.

Gli ormoni ad esempio (che siamo abituati a catalogare come appartenenti al sistema endocrino) sono invece in grado di influenzare anche la risposta immunitaria e di agire in sinergia con il sistema nervoso e il sistema immunitario (e viceversa).

La PNEI è quindi un’interazione dell’assetto psicologico, neuropsicologico ed emotivo con la sfera chimico-fisica e organica della biologia della vita, in condizioni di salute e di malattia.

L’omeostasi corporea avviene grazie all’autoregolazione di questa rete che riceve input di natura psicologica, infettiva, ecc.

APPLICAZIONE della PNEI

La chiave di applicazione della PNEI consiste nella prevenzione delle malattie.

Difatti in caso di sistema PNEI attivo e ben funzionante si attua una prevenzione efficace contro le malattie e patologie.

Questo dipende dal fatto che lo stato psicoemotivo ed affettivo di una persona influenza e modifica il decorso di una malattia. Ecco quindi che la mente è in grado di influenzare la cura delle malattie.

Le malattie o patologie che si possono contrarre dipendono da una serie variabile di fattori ambientali e genetici che attuano dei disturbi o cambiamenti nell’assetto dell’equilibrio psico-fisico della PNEI dell’organismo.

Il mantenimento di un SANO EQUILIBRIO DIPENDE FORTEMENTE DA FATTORI QUALI:

  • salute psicologica
  • corretta alimentazione
  • sistema immunitario forte

In aggiunta a tali fattori altre componenti del sistema possono influenzare ed intervenire per ripristinare l’equilibrio del sistema e correggere eventuali anomalie dello stesso influenzando l’umore, riducendo lo stress, correggendo problematiche endocrine.

Tra le componenti che attuano tale influenza ricordiamo sempre:

  • corretta alimentazione
  • ore di sonno
  • attività fisica
  • bere adeguatamente
  • no alcol
  • no fumo
  • no droghe

Grazie alla PNEI, il concetto di interazione e interconnessione della azione della mente sul corpo e viceversa, secondo dei meccanismi e proprietà chimico-fisiche autonome che si influenzano l’uno l’altro.

La PNEI, risulta dunque una disciplina intesa come OLISTICA, che tiene conto dei disturbi del paziente non solo dal punto di vista del corpo ma anche considerando la sfera psico-emotiva del soggetto.

Questo aspetto biochimico di RETE O NETWORK dell’Organismo tra tutti i suoi sistemi rispecchia a pieno e conferma il concetto energetico dei canali energetici sfruttati nelle discipline di medicina complementare, come metodi di cura non tradizionali quali agopuntura, osteopatia, riflessologia, yoga, dietoterapie specifiche, meditazione di vari orientamenti, ecc.

STORIA[3]

La prima dimostrazione importante in termine di riconoscimento di una interazione tra i differenti sistemi dell’organismo avvenne nel 1936, quando Hans Selye dimostrò che la reazione di stress (IZ stress e adattamento) è indipendente dalla natura dello stimolo e ricerche successive portano alla luce la correlazione tra stress e molteplici fattori, dimostrando che lo stress può essere attivato da fattori fisici, infettivi, psichici.

Gli studi sancirono che indipendentemente dal tipo di agente stressante, si attiva una reazione neuroendocrina e neurovegetativa che libera ormoni e neurotrasmettitori dalle surrenali.

A metà degli anni Settanta, grazie al fisiologo tedesco Hugo Besedovsky venne dimostrato che la reazione di stress, con l’aumento della produzione del cortisolo da parte delle surrenali, causa una soppressione della risposta immunitaria.

Fu stabilito così il primo collegamento biologico tra cervello, stress e immunità.

Successivamente, nella seconda metà degli anni Ottanta, il fisiologo statunitense Edween Blalock dimostrò che i linfociti hanno recettori per gli ormoni e i neurotrasmettitori prodotti dal cervello e che, al tempo stesso, producono ormoni e neurotrasmettitori del tutto simili a quelli cerebrali.

Si ottenne nel mondo scientifico un risultato senza precedenti: venne dimostrata la comunicazione bidirezionale tra cervello e immunità.

È stato dimostrato che le fibre nervose periferiche, quelle che innervano l’insieme dell’organismo, rilasciano sostanze (neuropeptidi) che attivano o sopprimono la risposta immunitaria, mostrando così, per la prima volta, la possibilità che un’infiammazione abbia un’origine nervosa (infiammazione neurogenica).

Al tempo stesso è ormai chiaro che le citochine rilasciate dalle cellule immunitarie, viaggiando con il sangue o con i grandi nervi cranici (come il nervo vago), sono in grado di portare segnali fin dentro il cervello, e quindi di influenzare sia le attività biologiche (febbre, fame, sazietà, ecc.) sia quelle psicologiche (ansia, depressione).

Gli anni Novanta hanno visto una crescita significativa degli studi sulla neurobiologia delle emozioni.

 La disregolazione del sistema dello stress da parte di emozioni, traumi ed eventi stressanti in genere altera potentemente l’assetto e il funzionamento del sistema immunitario.

Se nel breve periodo il cortisolo, l’adrenalina e la noradrenalina (catecolammine) hanno un effetto tonificante anche sull’immunità, nel medio-­lungo periodo queste sostanze collocano la risposta immunitaria su una posizione inadatta a combattere virus e tumori.

Analogamente, la disregolazione dell’asse dello stress può favorire lo sviluppo di malattie autoimmuni di vario tipo.

Sul finire degli anni Novanta, i lavori del neuroscienziato statunitense Robert Sapolsky e di altri hanno dimostrato che l’alterazione del sistema dello stress e la sovrapproduzione di cortisolo possono causare atrofia dell’ippocampo, area cerebrale deputata alla formazione della memoria a lungo termine.

Studi a cavallo del 21° sec. dimostrano che, anche patologie come l’aterosclerosi e le cardiopatie in genere sono fortemente condizionate dall’umore: la depressione, con la sovrapproduzione di cortisolo e catecolammine, contribuisce ad alterare la parete interna dei vasi, favorendo la formazione della lesione aterosclerotica.

Così, taluni infarti e altri eventi cardiaci acuti, in presenza di disturbi dell’umore, possono trovare spiegazione nelle alterazioni vascolari prodotte dalle catecolammine e dallo squilibrio nel sistema della serotonina, la cui concentrazione diminuisce nel cervello, con effetti depressivi, mentre aumenta nel sangue con effetti di incremento della aggregazione piastrinica (effetti protrombotici).

Infine, ricerche del primo decennio del 21° sec., a opera soprattutto dello psichiatra belga Michael Maes e del   neurobiologo   francese   Robert   Dantzer,   hanno   dimostrato   che   una disregolazione immunitaria in senso infiammatorio può essere responsabile della sintomatologia che tradizionalmente viene riferita ai ‘disturbi di somatizzazione’ nonché ai tipici sintomi ‘psicosomatici’, che accompagnano sia disturbi di cui si occupano la psicologia e la psichiatria (ansia, depressione, sindrome da fatica cronica), sia disordini di carattere più propriamente medico (malattie autoimmuni, cancro).

SVILUPPI FUTURI

Con la Pnei viene a profilarsi un modello di ricerca e di interpretazione della salute e della malattia che vede l’organismo umano come una unità strutturata e interconnessa, dove i sistemi psichici e biologici si condizionano reciprocamente.

Ciò fornisce la base per prospettare nuovi approcci integrati alla prevenzione e alla terapia delle più comuni malattie, soprattutto di tipo cronico, e, al tempo stesso, configura la possibilità di andare oltre la storica contrapposizione filosofica tra mente e corpo nonché quella scientifica, novecentesca, tra medicina e psicologia, superandone i rispettivi riduzionismi, che assegnano il corpo alla prima e la psiche alla seconda.

 

[1]             https://www.mariacorgna.it

https://www.nurse24.it

Sipnei Home

[2] https://www.mariacorgna.it

[3] https://sipnei.it/

Trovare la giusta terapia per combattere il dolore o gli scompensi derivati da un problema fisico o una patologia non è mai semplice.

Oggigiorno, la medicina ha fatto passi da gigante nel trattare sempre in maniera più naturale e meno invasiva gli stati dolorosi e in generale le patologie cliniche.

Non a caso, si cerca di trovare soluzione ai problemi della salute con metodologie di medicina Bio-rigenerativa o comunque medicina mini invasiva e possibilmente senza l’uso di medicine chimiche o sintetiche.

Difatti, un esempio di questo tipo di medicina molto naturale poco invasiva è certamente la terapia del dolore nota come Ossigeno-Ozono Terapia, nuova frontiera delle tecniche di terapia medica.

L’Ossigeno-Ozono terapia è presente nell’entourage medico da oltre un secolo e la sua efficacia è stata ormai riconosciuta da tutta la Comunità Scientifica.

Questa metodica consolidata nel corso degli anni rappresenta ancora oggi un ottimo coadiuvante per numerose terapie convenzionali nel trattamento di molteplici affezioni dolorose e più in generale di diverse patologie dell’organismo umano.

Vediamo di seguito maggiori dettagli.

DEFINIZIONE della TERAPIA

L’Ossigeno-Ozono Terapia è un trattamento di terapia medica, basato sulla somministrazione di una miscela di ossigeno (O2) e ozono medicale (O3) all’interno dell’organismo, attraverso l’impiego di differenti tecniche, che permette di ottenere considerevoli risultati terapeutici su numerose patologie.

La miscela di ossigeno e ozono ha un’azione antidolorifica, antinfiammatoria, antibatterica e rivitalizzante dei tessuti.

E’ un vero e proprio trattamento ad azione antinfiammatoria e antidolorifica, indirizzato ai pazienti affetti da lombosciatalgia, lombocruralgia e cervicobrachialgia, dovute a patologie specifiche della colonna vertebrale, quali l’ernia del disco o protrusione discale o patologie dolorose delle articolazioni, come artrite e reumatismi.

I pazienti che soffrono di tali dolori alla colonna, presentano dolore alla schiena o al collo e solitamente in questi casi il dolore dalla schiena può irradiarsi al gluteo, alla coscia e lungo l’arto inferiore, mentre la sintomatologia dolorosa dal collo può estendersi a tutto il braccio e in alcuni casi fino alle dita della mano.

LA STORIA

La storia di questa terapia ha radici antiche nel tempo di oltre 100 anni.

Il medico tedesco Schonbein fu colui che nel 1832 scoprì l’ozono dandogli appunto questo nome di derivazione dal Greco (verbo Ozo) che significa “emanare odore”, proprio per via del caratteristico odore pungente.

Durante la Seconda Guerra Mondiale fu impiegato per la prima volta in ambito medico soprattutto per il trattamento dei soldati feriti: difatti, grazie alle sue proprietà disinfettanti vennero salvate molte vite tra i militari malati o feriti.

Venne applicato per la prima volta in ambito chirurgico nel 1932, in chirurgia generale: venne utilizzato per curare ulcere e fistole settiche con grande successo.

Attualmente è in uso in diversi Paesi Europei, in Italia è impiegato dal 1983, anno in cui venne costituita la Fondazione della Società Italiana di Ossigeno-Ozonoterapia. (SIOOT).

L’OZONO e i suoi BENEFICI[1]

L’ozono è un gas naturale la cui molecole avente 3 atomi di ossigeno ha una natura instabile.

È presente maggiormente nella stratosfera (fascia di atmosfera che va indicativamente dai 10 ai 50 km di altezza), nella quale costituisce una indispensabile barriera protettiva nei confronti delle radiazioni UV generate dal sole.

Oltre a queste proprietà l’ozono presente altre caratteristiche:

  • un efficace agente battericida
  • funghicida
  • inattivante dei virus: nella lotta contro il Covid-19, è stato infatti utilizzato per la sanificazione delle superfici.

All’interno del corpo umano è prodotto naturalmente dai globuli bianchi ed è destinato alla difesa dell’organismo come barriera dall’attacco di batteri, virus e funghi.

Inoltre, altra sua capacità consiste nel potersi dimezzare in ambiente acquoso (come potrebbe essere il corpo umano) in 20 minuti.

Tale caratteristica lo ha portato ad essere impiegato come sostanza miscelata all’ossigeno in ambito medico per diverse applicazioni a basse concentrazioni in modo tale che possa disciogliersi nel corpo umano facilmente e senza ripercussioni.

I BENEFICI [2]di questo speciale gas sono molteplici:

  • favorisce il rilascio delle endorfine, i cosiddetti ‘ormoni del benessere’, che bloccano la trasmissione del segnale nocivo e rilasciano una sensazione di euforia.
  • svolge un’azione antinfiammatoria, poiché agisce:
  • Aumenta le citochine anti-infiammatorie (molecole proteiche responsabili di contrastare la risposta infiammatoria del nostro organismo). Ha la capacità di modificare le sostanze che producono infiammazione (ATP, H+, Prostaglandine, Serotonina, Interleuchine), rendendole “incapaci” di produrre dolore.
  • Riduce la quantità delle citochine pro-infiammatorie (che alimentano invece l’infiammazione).
  • Permette di ottimizzare il legame tra l’ossigeno respirato e i globuli rossi (cellule responsabili del trasporto dell’ossigeno ai tessuti), aumentando così l’apporto di ossigeno ai tessuti periferici con un conseguente effetto rivitalizzante. Favorisce dunque, il microcircolo e l’ossigenazione dei tessuti grazie alla migliore ossigenazione.
  • Ha un effetto anti-aging, poiché favorisce l’attivazione dei meccanismi anti-ossidanti endogeni, ovvero prodotti direttamente dal nostro organismo (glutatione ridotto e supeossido dismutasi), che contrastano l’azione dei radicali liberi.
  • Ha un effetto lipolitico o ‘sciogli grasso’, poiché è in grado di scindere gli acidi grassi a catena lunga.
  • Ha un’azione analgesica, importante in termini di rilassamento muscolare e vasodilatazione e riattivazione del metabolismo muscolare.
  • Favorisce l’ossidazione del lattato o acido lattico, generando quindi una conseguente neutralizzazione dell’acidosi (alta quantità di acidi nell’organismo). Inoltre, un ulteriore effetto analgesico è derivato dalla induzione di enzimi antiossidanti.
  • Permette una maggiore sintesi di adenosina trifosfato, la riserva energetica delle cellule, che provoca il riassorbimento del calcio e di conseguenza anche degli edemi.
  • La sua capacità di ossidazione favorisce la distruzione delle capsule e delle membrane batteriche, dando all’ozono una spiccata funzione antisettica, in particolare:
    • Potente battericida
    • Ha la capacità virus-statica, che impedisce l’infezione delle cellule e quindi la sua replicazione.

FUNZIONAMENTO DELLA TERPIA

“L’ossigeno-ozonoterapia può essere praticata attraverso diverse vie di somministrazione, per ciascuna delle quali è prevista una specifica concentrazione della miscela gassosa, secondo protocolli stilati dalla Società Scientifica Italiana di Ossigeno-Ozonoterapia (SIOOT)”[3]

I principali metodi di somministrazione sono:

  • intramuscolare
  • sottocutanea
  • rettale
  • intra-articolare
  • endovenosa

Tra le diverse metodologie, le più utilizzate sono fondamentalmente tre:

  • Tramite iniezione per via intramuscolare, intra-articolare intradermica, sottocutanea.
  • Tramite applicazioni topiche sulle zone interessate con creme oppure oli, acqua ozonizzata.
  • Tramite autoemotrasfusione: eseguita prelevando sangue venoso che, convogliato in una sacca trasfusionale per ozono terapia, viene trattato con la miscela O2/O3 e successivamente reinfuso nell’organismo.

PATOLOGIE INTERESSATE e AMBITI DI APPLICAZIONE[4]

“Questa terapia ha un campo di applicazione davvero molto ampio. In particolare, buoni risultati si ottengono contro dolore e infiammazione. Per questo motivo, la somministrazione di ozono e ossigeno viene spesso impiegata per il trattamento di:

  • Patologie dolorose del rachide, dovute a compressioni radicolari o protrusioni discali.
  • Patologie dolorose delle articolazioni su base atrosico-degenerativa.
  • Cicatrici.
  • Fenomeni aderenziali cutanei.
  • Lipodistrofia, ossia la perdita anomala di grasso corporeo.

Buoni risultati con questo trattamento si ottengono anche in medicina estetica, in particolare contro gli inestetismi della cellulite”.

L’Ossigeno Ozonoterapia offre importanti benefici per una moltitudine di affezioni afferenti ai diversi sistemi dell’organismo. Ne riportiamo vari esempi:

  • Patologie vascolari, arteriopatia periferica, insufficienza venosa periferica, ulcere trofiche
  • Patologie ortopediche, quali lombosciatalgia, cervicalgia, cervico-brachialgia, dorsalgia, osteoartrosi, sciatica, coxartrosi, artrosi, ernie, protrusioni e ancora contratture muscolari, spasticità, tremori, tensioni croniche e fibromialgia
  • Patologie oculistiche, quali la maculopatia degenerativa
  • Patologie intestinali, come le coliti
  • Epatopatie
  • Dolore neuropatico, neuropatie e parestesie, nevralgie
  • Patologie gastriche, quali la gastrite e l’infezione da Helicobacter Pylorii
  • Infezioni virali, quali Herpes Simplex, Genitalis e Zooster, infezioni uro-ginecologiche e infezioni antibiotico resistenti
  • Patologie dermatologiche, tra cui l’acne
  • Cefalee Vascolare e Miotensiva
  • Vertigini (Sdr. Menière), acufeni
  • Reumatismo Articolare
  • Artrite Reumatoide
  • Asma
  • Cardiopatia Ischemica
  • Aterosclerosi

È utilizzato anche in:

  • Medicina sportiva
  • Medicina Fisica e Riabilitativa
  • Medicina estetica e Programma antiage
  • Adiuvante durante la Radioterapia / Chemioterapia

BENEFICI DELLA TERAPIA

Numerosi sono i benefici di questa terapia:

  • Azione antalgica, antidolorifica e antinfiammatoria
  • Azione Virus Statica, antibatterica e antimicotica
  • Azione antiossidante
  • Azione sinergica con i farmaci con riduzione degli effetti collaterali
  • Attivazione di sistemi neuro protettivi
  • Incremento delle difese immunitarie
  • Ottimizzazione dell’impiego dell’ossigeno nel sangue con effetto rivitalizzante
  • Miglioramento della circolazione sanguigna e dell’apporto di ossigeno nel tessuto ischemico
  • Stimolazione del sistema neuroendocrino con sensazione di benessere
  • Capacità di rigenerazione osteoarticolare
  • Effetto coadiuvante nella cura della depressione per effetto di un miglior equilibrio psico-fisico

CONTROINDICAZIONI[5]

“La somministrazione di ozono viene generalmente ben tollerata dai pazienti, purché venga somministrata da medici qualificati.

Può capitare però che la persona avverta una sensazione di pesantezza e/o lieve bruciore, generalmente di breve durata e a risoluzione spontanea.

Raramente lo stimolo doloroso dovuto alla puntura dell’ago può generare una crisi vagale con abbassamento della pressione, sudorazione, riduzione della frequenza cardiaca. Per il carattere transitorio, questa manifestazione il più delle volte non necessita di alcun trattamento farmacologico.

L’ossigeno-ozonoterapia non provoca reazioni allergiche, essendo il gas utilizzato costituito unicamente da atomi di ossigeno. Tuttavia, esistono alcune complicanze che sono legate all’utilizzo degli aghi per la somministrazione, come ad esempio:

  • ematomi, in seguito alla puntura accidentale di un vaso sanguigno;
  • dolore o sensazione di formicolio/scossa elettrica, per la puntura accidentale di un nervo”.

“Sono considerate controindicazioni all’ossigeno-ozonoterapia, soprattutto per via endovenosa:

  • gravidanza
  • ipertiroidismo clinicamente manifesto
  • favismo
  • epilessia
  • gravi malattie cardiovascolari e/o ematologiche e/o respiratorie in fase clinica di scompenso;
  • necessità di essere sottoposti ad intervento chirurgico non rimandabile”.

[1] Il dottor Andrea Schiraldi, referente dell’ambulatorio di Ossigeno-ozonoterapia di Palazzo della Salute – Wellness Clinic

[2] Il dottor Andrea Schiraldi, referente dell’ambulatorio di Ossigeno-ozonoterapia di Palazzo della Salute – Wellness Clinic

[3] Il dottor Andrea Schiraldi, referente dell’ambulatorio di Ossigeno-ozonoterapia di Palazzo della Salute – Wellness Clinic

[4] Il dottor Andrea Schiraldi, referente dell’ambulatorio di Ossigeno-ozonoterapia di Palazzo della Salute – Wellness Clinic

[5] Il dottor Andrea Schiraldi, referente dell’ambulatorio di Ossigeno-ozonoterapia di Palazzo della Salute – Wellness Clinic

Il ginocchio è formato da due ossa, il femore (coscia) e la tibia (gamba). Davanti partecipa all’articolazione anche la rotula che, oltre a proteggere il ginocchio, facilita l’azione del muscolo quadricipite durante l’estensione della gamba. Vi è un altro osso, lateralmente alla tibia, che completa l’articolazione: il perone.

Tutte le superfici articolari sono rivestite di cartilagine, uno speciale tessuto protettivo che diminuisce gli attriti interni all’articolazione. Una ulteriore protezione da traumi ed usura deriva dalla presenza di due menischi, uno mediale ed uno laterale. Entrambe queste strutture, dalla forma semilunare, funzionano come cuscinetti ammortizzatori, facilitando i movimenti e proteggendo l’intero ginocchio.

Un manicotto fibroso, chiamato capsula, avvolge l’intera articolazione, stabilizzandola durante i movimenti. Una membrana, detta sinoviale, riveste la superficie interna della capsula e secerne un liquido vischioso che lubrifica e nutre l’articolazione.

Vi sono quattro legamenti che stabilizzano il ginocchio, due laterali chiamati rispettivamente collaterale mediale o interno (LCM) e collaterale laterale esterno (LCL), e due interni detti crociato anteriore (LCA) e legamento crociato posteriore (LCP).

Esistono poi numerose altre strutture anatomiche come borse e legamenti minori che nel loro insieme provvedono ad aumentare la stabilità e la funzionalità dell’articolazione.

Uno degli infortuni più frequenti, a carico di questa articolazione, è la lesione del legamento crociato anteriore.

Esso può essere sottoposto a forti sollecitazioni meccaniche soprattutto durante l’attività sportiva e può andare incontro a rottura. Il meccanismo di lesione più frequente, è il movimento involontario di valgo-rotazione-esterna mentre il piede è fisso al suolo.

Quando avviene una lesione del legamento crociato anteriore il paziente sente il ginocchio cedere e ha la sensazione che qualcosa si sia rotto all’interno del suo ginocchio oppure che qualcosa sia andato fuori posto. I sintomi principali sono il dolore, il gonfiore e la difficoltà a muovere l’articolazione. Solitamente dolore e gonfiore si risolvono nel giro di 2 settimane circa dopo il riposo e l’utilizzo di ghiaccio e FANS mentre permane l’instabilità che non permette al paziente di ritornare alla pratica sportiva.

La lesione del LCA è un evento molto fastidioso e spiacevole. Per queste è sempre opportuno cercare di evitarlo.

La prevenzione delle lesioni da sport si ottiene ponendo particolare attenzione alla sicurezza durante lo svolgimento di attività sportive anche non agonistiche e mantenendo sempre un buon tono (trofismo) della muscolatura della gamba che funga da protezione per il ginocchio.

Una volta effettuata la diagnosi di lesione del legamento crociato anteriore la cura può essere conservativa o chirurgica. Inizialmente il medico potrà consigliare un periodo di riposo associato a terapie con farmaci antinfiammatori e l’applicazione di ghiaccio locale. La scelta corretta del trattamento dipende dalla valutazione di fattori come l’età del paziente, la richiesta funzionale e lo stile di vita.

In presenza di una lesione del legamento crociato anteriore è possibile svolgere le normali attività di vita quotidiana evitando tuttavia di praticare attività sportive ed in modo particolare sport da contatto e che richiedono cambi direzionali durante il movimento come il calcio, lo sci, il basket e la pallavolo. In caso di lesione parziale a volte è possibile evitare l’intervento facendo ginnastica di rinforzo dei muscoli della coscia. Una lesione totale non riparata, invece, espone l’articolazione al rischio di nuove distorsioni che possono poi causare lesioni ai menischi o alla cartilagine e allo sviluppo di un’artrosi precoce. Per questo, il trattamento chirurgico viene proposta a tutti i pazienti giovani.

La lesione del menisco è tra quelle più diffuse che riguardano il ginocchio.

Il menisco è una struttura fibro-cartilaginea, dura ed elastica. I menischi hanno la funzione di distribuire i carichi del ginocchio in modo più regolare e contribuiscono alla stabilità rotazionale quando il ginocchio è soggetto a sollecitazioni meccaniche rilevanti come correre, saltare o cambiare direzione all’improvviso.

Ogni ginocchio possiede due menischi.

Le cause più comuni di lesione sono le distorsioni oppure può essere l’ultimo evento di una degenerazione della fibrocartilagine che avviene nel tempo per un processo di invecchiamento fisiologico o per un meccanismo di piccoli traumi ripetuti.

I sintomi sono rappresentati da:

– dolore persistente al ginocchio sia in condizioni di riposo, sia sotto sforzo.  Esso rappresenta il sintomo più importante e sempre presente di una lesione al menisco. Tale dolore può essere accompagnato da sensazioni di qualche cosa che “scatta” o si sposta durante il movimento del ginocchio.

– Vi può essere un’infiammazione sinoviale con versamento all’interno dell’articolazione. Questo versamento gonfia il ginocchio e rende i movimenti meno liberi. Inoltre, quando la rottura è importante, il menisco può spostarsi dalla sede anatomica provocando un vero e proprio blocco funzionale che rende impossibile lo svolgimento delle normali funzioni.

Le lesioni meniscali si definiscono radiali quando perpendicolari all’asse maggiore, o longitudinali quando creano una divisione all’interno del corpo.

Come prevenirle:

Come al solito si consiglia un rinforzo funzionale e programmato dei muscoli della coscia e degli stabilizzatori dell’umore ginocchio (il quadricipite, gli ischiocrurali, il popliteo, i vasti mediali, il tensore della fascia lata e grande gluteo).

Evitare assolutamente di essere in sovrappeso, per non sovraccaricare il ginocchio. Cercare il più possibile di evitare sport e/o sollecitazioni (soprattutto torsioni, salti e cambi di direzione) quando si è affaticati o in condizioni psicofisiche non ottimali.

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