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Cultura & Tradizioni Culinarie

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Dicembre = NATALE.

Dicembre è il mese del Natale, delle luci e decorazioni natalizie, delle ricette speciali, delle tavole imbandite, dei regali, dei bambini e della famiglia.

Dicembre è anche il mese dei sognatori, in quanto il Natale ci ricorda ogni anno che è possibile esprimere dei desideri e che se veramente ci crediamo possono avverarsi.

E cosa c’è di più bello per prepararsi al Natale di cimentarsi e sperimentare tante nuove idee per decorazioni natalizie raffinate ed originali?

Per creare la giusta atmosfera e ricreare lo spirito natalizio non bisogna sottovalutare l’importanza delle decorazioni e della Tavola di Natale ben imbandita.

Pigne, candele, decorazioni con le foglie sono le decorazioni più gettonate che non devono mai mancare, e oggi qui riproponiamo idea originali per apparecchiare e decorare la tavola di Natale con decorazioni raffinate, di classe ed eleganti.

GLI STILI

Gli stili nell’apparecchiare la tavola sono molti, ma è importante scegliere uno stile in particolare e ricreare tutte le decorazioni della casa in modo che siano coordinate e ben abbinate.

Decorare con gusto significa essere attenti ai colori, alle forme, agli accostamenti, alla gusta combinazione di luci e colori che stiano bene con il resto della casa e si intonino al meglio con ogni particolare.

Addobbare non si riduce a comprare una semplice tovaglia rossa natalizia alla quale abbinare i tovaglioli e i bicchieri.

Di seguito proponiamo diversi stili che si adattano a differenti gusti e tipologie di casa.

MISE EN PLACE: l’allestimento complete per rievocare il valore della Famiglia

La mise en place è un termine francese della ristorazione che sta ad indicare l’apparecchiatura, cioè il completo allestimento della tavola. Sebbene la mise en place sia una tradizione che in molti rifiutano è comunque un classico della tradizione che non muore mai. Questo evergreen è sempre ben accetto, perché elegante e stiloso.

Apparecchiare con una mise ne place non significa tuttavia buttare sulla tavola tutti i vari servizi da tavola che abbiamo, senza un nesso tra i vari elementi, ma si concretizza nel rimettere a tavola i vecchi servizi di famiglia, le posate della nonna, la tovaglia di famiglia e in generale tutti gli oggetti classici appartenenti alle generazioni del proprio nucleo familiare.

La tavola, come elemento centrale protagonista del Natale, riesce a riportare tutta la famiglia insieme a sedersi allo stesso tavolo, per desinare e per trascorre del tempo insieme collezionando ricordi piacevoli e importanti.

Per questo motivo la tavola è un elemento importante per il quale nulla va lasciato al caso e ogni elemento ha la sua importanza e anzi, una attenta cura dei dettagli farà sicuramente la differenza.

Per una mise en place impeccabile si consiglia di apparecchiare la tavola scegliendo la tovaglia adatta, posizionando i piatti e il tovagliolo al centro, eventualmente con un segnaposto.

Ricordare sempre che la forchetta va a sinistra e il coltello a destra, il bicchiere va posto a 1 cm dalla punta del coltello.

È possibile anche aggiungere un piattino per il pane posizionando per chi lo desideri dei fiori e altre decorazioni al fine di personalizzare ancora di più la tavola di Natale.

I COLORI DELLA TAVOLA DI NATALE: come abbinarli al meglio

I colori della tavola di Natale sono molto importanti, per questo, una possibile idea originale sarebbe abbinare i colori della tavola alle pareti di casa, soprattutto se colorate.

Con tale accorgimento si creerà continuità con la tavola scegliendo la colorazione del vostro muro per addobbi e decorazioni.

Se adorate le tavole romantiche, il rosa antico tenue è il colore più indicato, soprattutto se di tonalità delicata e pastello.

Anche il viola è un colore molto particolare ma che se ben combinato con il rosso e il verde acido crea degli effetti molto affascinanti.

Se vi piacciono i classici, certamente la combinazione oro e avorio è la più chic, e per una tavola più moderna e giovane l’argento è molto elegante e raffinato come alternativa all’oro.

E’ interessante anche giocare con i contrasti coloratissimi come con il verde, rosa, viola e persino l’arancione.

Se l’abbinamento classico verde e rosso vi sembra troppo pesante meglio imbandire la tavola con il bianco e il rosso, comunque tradizionale e chic, ma più leggero, fresco e delicato. Questo classico binomio può essere interpretato in modi diversi e permette facilmente di adattarsi al design e allo stile della casa. Se si sceglie questo binomio in versione moderna si potrà giocare molto sulle forme geometriche degli elementi decorativi: piatti quadrati, bicchieri rotondi, posate essenziali, centrotavola conici, tutto avrà un aspetto formale e rigoroso, proprio come vuole il design minimalista.

Per chi ami l’arredamento shabby chic, è possibile usare i colori bianco e rosso con lo stile geometrico sia per addobbare l’albero sia per decorare la tavola di Natale. Aggiungendo anche candele bianche, merletti di pizzo, pigne e ramoscelli, quali elementi facilmente reperibili e a basso costo, si creerà una perfetta tavola natalizia in stile shabby chic.

LA SCELTA DEI TESSUTI

Per decorare la tavola in maniera elegante e raffinata bisogna ricordare l’importanza della scelta dei tessuti della tovaglia. Se la tavola da pranzo è in legno naturale è bene evitare l’utilizzo della tovaglia, se invece si tratta di un tavolo da pranzo moderno meglio optare per tessuti nelle nuances naturali.

Nella palette cromatica vi sono tantissime scelte di colori, ma per la tavola di Natale meglio sempre optare per le tonalità più discrete e chiare, come il bianco, il beige e le sfumature dei verdi e dei marroni.

Se optate per una tovaglia bianca e delle decorazioni oro o argento, l’atmosfera delle feste non potrà essere più preziosa. La tovaglia bianca, semplice o preziosa con pizzi e merletti diventa difatti, la base su cui potersi sbizzarrire con le decorazioni a tema, da posizionare giocando con abbinamenti di colori classici o audaci.

Se invece si prediligono tavole più gioiose meglio optare per tovaglie colorate damascate o scozzesi. La lista delle stampe natalizie alle quali attingere per le decorazioni è molto lunga: stelle di Natale, agrifogli, bacche rosse, alberelli, pupazzi di neve, Babbi Natale, fiocchi, ghirlande, cuoricini, fiori, stelline o scenari innevati.

DECORAZIONI FAI DA TE

Molto caratteristiche sono le decorazioni che si posizionano sulla tavola: i centrini, i segnaposto, il centro tavola e molto altro. Se desiderate avere delle decorazioni molto particolare certamente crearle in autonomia renderà il tutto più interessante. Ad esempio, si potrebbe optare per delle conchiglie o spighe o fiori particolari uniti a oggetti non convenzionali.

Per una tavola molto raffinata si può utilizzare il vetro per ogni decorazione.

Molto impegnativo nell’utilizzo, ma dall’effetto suggestivo è il muschio, per decorare vasetti, porta candele, centrotavola natalizi o sistemato qua e là sulla tavola apparecchiata.

Un elemento che non deve mai mancare è la decorazione a base di pigne da posizionare in ordine o sparse sulla tavola, molto adatte per chi ama lo stile country e quello rustico, le decorazioni natalizie con le pigne sono facili da realizzare e totalmente ecologiche.

Anche i rami d’abete, delle piantine, bacche rosse, rami secchi, sono tutti elementi decorativi molto green e allo stesso tempo Natalizi.

La GIUSTA ATMOSFERA: luci, candele, musica e profumi

Qualsiasi sia la scelta della vostra tavola, nessun addobbo o decorazione potrà essere perfetto se non accompagnato dalla giusta atmosfera.

Per rendere l’ambiente della casa caldo, accogliente, raffinato, elegante e affascinante non possono mancare le giuste luci, magari creando una atmosfera calda e accogliente con lampade a luce soffusa, colore caldo o evitando le luci forti prediligendo luci di una piantana o di lampade più piccole.

Anche l’uso di lampade di sale, molto belle, dalla proprietà benefiche e con la luce calma e distensiva color oro rosato, o ancora, l’uso di proiettori per il soffitto che proiettano luci e motivi molto differenti aiutano a creare una atmosfera molto intima ed elegante.

La scelta di luci decorative da attaccare alla porta, alle tende, al camino, o di piccole lampade con motivi di luci decorative è una ottima opzione per una atmosfera davvero seducente.

Le candele sono un altro espediente per illuminare e rendere tutto l’ambiente molto intimo, chic e delicato, da posizionare sia sulla tavola sia nell’ambiente della casa, su comodini, tavolini, sugli scaffali e anche al bagno per intrattenere gli ospiti anche in questo ambiente.

Anche la musica è fondamentale: la scelta della giusta playlist non può mancare, con melodie natalizie o lounge, jazz, classiche, basta che siano messe di sottofondo, come colonna sonora rilassante ma mai invadente del contesto.

Infine, per rendere l’invito a casa una vera esperienza sensoriale a 360 gradi non possono mancare i diffusori di aromi per una aromaterapia che intrattenga l’ospite in maniera delicata, coprendo anche gli odori della cucina e rendendo l’atmosfera ancora più raffinata.

Si sa il cibo è EMOZIONE.

CUCINARE e ancora di più MANGIARE sono atti di vera PASSIONE.

PREPARARE DEL BUON CIBO è una vera e propria ARTE e l’arte nasce dal talento ma soprattutto dall’amore, dai sentimenti e dalle emozioni che imprimiamo nell’opera, che sia una tela, una scultura, uno spartito o anche per l’appunto, una pietanza.

Esiste dunque, un sodalizio inequivocabile tra il cibo in sé, la preparazione dello stesso e l’amore di chi si occupa della sua preparazione.

La cucina come atto d’amore è quel processo naturale e fisiologico che porta alla creazione di una pietanza, che noi appunto chiamiamo CIBO che comporta nutrimento non solo per il corpo, ma anche per lo spirito, un nutrimento per l’organismo e per l’essere.

Il cibo come ogni cosa è ENERGIA, e per l’appunto la cucina bioenergetica tiene in considerazione la valenza energetica del cibo sia dal punto di vista nutrizionale sia come rapporto olistico tra energia e alimentazione. Questo tipo di cucina enfatizza il passaggio e il suo effetto dell’energia che si impiega preparando le pietanze con amore al cibo stesso.

La trasmissione di questa energia dal sentimento dello chef al piatto in tavolo determina una valenza differente, un valore aggiunto al cibo che non diventa più un mezzo per assumere valori energetici sterili calcolabili da tabelle, ma un mezzo per alimentare corpo, mente e spirito.

La cucina energetica è il connubio perfetto tra l’amore, la predisposizione emotiva che mettiamo nel preparare una pietanza e la valenza energetica dell’alimento in sé.

Mangiare e nutrirsi non diventa più dunque un mero atto meccanico, e il nutrimento non è più un gesto meccanico, automatico, involontario e sterile, bensì, una trasmissione di energia dalle azioni nutrite delle emozioni del cuoco, al piatto stesso.

Nutrirsi con il cibo e l’alimentazione diventano così a tutti gli effetti delle azioni DINAMICHE, ricche di emozioni, pensieri ed esperienze culturali, religiose, relazionali.

Non vi è più la concezione di nutrire l’organismo come fosse una macchina, ma si nutre noi stessi, il nostro essere, la nostra essenza, noi come PERSONA.

Vediamo di seguito tutti i dettagli.

DEFINIZIONE & CARATTERISTICHE [1]

Sebbene ormai abituati e vessati da un’epoca sterile, asettica e inquinata ambientalmente e culturalmente dalla cultura industriale di massa consumistica che ha ormai deturpato il pianeta, un ritorno ad una concezione più intima e pura di rapporto con la nostra Madre Terra (e con i suoi prodotti offerti come frutti generosi) e un ritorno ad una alimentazione più spirituale e olistica sono certamente doverosi.

La cucina bioenergetica nasce dall’esigenza di ritrovare quel rapporto che gli antichi e le popolazioni più vicine alla natura ancora posseggono, nel quale nutrirsi e gli alimenti siano a tutti gli effetti uno scambio di energia tra la terra, la natura e noi come individui, veicolata dalle emozioni di chi prepara le pietanze.

Quando cuciniamo e prepariamo un piatto, di fatto stiamo imprimendo i nostri sentimenti, il nostro amore, le nostre emozioni, pensieri, retaggio culturale in quell’elemento ed è per questo che quando si assaggia un piatto si ha la netta sensazione che in esso scorrano attimi di vita e memorie negli aromi e nei sapori.

Ci siamo accorti tutti durante la vita come un piatto preparato con cura e amore dalla mamma, il papà, la nonna, un amico, il partner, siano piatti carichi di amore, che abbiamo quel qualcosa in più che lo distingue da tutti gli altri.

Ogni piatto cucinato con l’emozione del momento nel quale ci mettiamo del nostro, raccoglie di fatto i sapori degli attimi di vita riconducibili a quello specifico momento, raccontandoci ciò che sentiamo e proviamo in quel dato periodo storico.

La cucina si dice sia VIVA proprio per questo motivo.

ALIMENTAZIONE BIOENERGETICA: il dualismo cibo-energia

Per comprendere il vero significato della cucina bioenergetica dobbiamo comprendere che in natura tutto scorre, vi è un vero flow energetico costante che fluisce in tutti gli elementi naturali, e dunque anche negli alimenti.

Ogni alimento ha una propria valenza energetica intrinseca di partenza derivante dall’ origine, caratteristiche proprie, il terreno in cui nasce, il periodo, dal sapore, odore e colore.

Tale potenziale energetico può essere modificato o incentivato attraverso la conservazione, la cottura e gli ingredienti che vengono abbinati ad esso quali esempio spezie, condimenti ecc.

Attraverso questa azione, cucinare gli alimenti significa trasformare l’energia dei prodotti da potenziale energetico a pietanza finita, addizionando anche la nostra energia facendola fluire al loro interno, attraverso la manipolazione degli elementi, la cottura, il rispetto delle tempistiche rispettando la natura dell’alimento senza deturparlo o snaturarlo.

Ad esempio la cottura più idonea per le verdure è scottarle appena, non lessarle, per non perdere la loro naturale vitalità.

Alcuni cibi tendono a contrarre liquidi e altri tendono a dilatare liquidi. Maggiore è il contenuto di acqua maggiore sarà l’effetto dilatante. Minore è il contenuto di acqua e più hanno effetto contraente. La cottura interviene quindi, bilanciando l’equazione secondo le nostre esigenze.

ORIGINI & STORIA

La cucina bioenergetica trova le sue radici nella dietetica orientale, uno dei pilastri della medicina orientale cinese.

Secondo tale teoria, negli alimenti vi sono peculiarità terapeutiche e curative che vanno ad interagire con la costituzione individuale insita nell’organismo e sull’aspetto fisico, psicologico ed emotivo della persona andando a rienergizzare e riequilibrare laddove sussistano stati di deficit e debolezza dell’energia vitale nel soggetto in questione.

“Ad esempio, in questo periodo dell’anno, l’autunno è associato all’organo Polmone della loggia Metallo. Esso porta i liquidi, l’aria e l’energia vitale verso l’interno e quindi tende ad introiettare, a raccogliere. Al polmone si associa la respirazione, e senza di esso non potrebbe avvenire l’atto stesso.

Il sapore legato a questo organo così importante in autunno, dove l’umidità tende ad aumentare, è l’amaro che d’altro canto tende a seccare, eliminando l’umidità in eccesso, ad agglomerare ed irrigidire in quanto sapore Yin astringente.

Questo sapore ovviamente avrà la sua funzione andando verso il basso e l’interno attribuendo anche delle potenzialità evacuative, molto utili come mezzo per eliminare tossine che causano il tipico innalzamento febbrile ad esempio”.[2]

In questo periodo dunque, è bene cuocere ogni alimento in maniera da conferire del calore aggiuntivo alla pietanza eliminando i cibi freddi di frigo e rinfrescanti che male si abbinano alla stagione autunnale.

“Cibi tipici e ottimali da consumare in questa stagione sono i cibi dal sapore amaro quindi:

  • tarassaco,
  • rafano,
  • rosmarino,
  • rapa rossa,
  • rapa bianca,
  • cavolo,
  • alcuni tipi di funghi ma senza eccedere
  • come cereale, l’amaranto.

Questi cibi sono ideali per conciliare il periodo di letargo che il corpo inizierà ad intraprendere e la diluzione conseguente delle energie corporee che tenderanno a celarsi e rientrare.

Per non rinunciare al piacere di un cibo fresco quale ad esempio la frutta, un metodo per inserirlo comunque nella dieta del mese è quello di consumarlo rendendolo più adatto alla stagione che si sta vivendo; ad esempio mangiando mele cotte, con aggiunta di zenzero e cannella che oltre che donare una fragranza piacevole stemperando l’effetto di umidità che viene a crearsi nel nostro organismo nel periodo autunnale: : muco, infiammazioni, sinusiti, riniti ecc, donano anche un effetto di dessert autunnale buono e nutriente.

 

 

 

 

[1] Roberta Guidi, naturopata presso la Scuola Italiana di Naturopatia dell’Istituto di Medicina Naturale

[2] Biosalus.net

Tra i grandi popoli con usi e tradizioni veramente speciali, si annoverano senza dubbio i Nativi d’America o Nativi Nordamericani.

Un popolo unico nel suo genere, protagonista di molte vicende importanti del Nuovo Continente, ricco di spiritualità, riti e tradizioni profondamente legate alla natura e alla spiritualità.

Questo popolo guerriero, dal profondo rispetto per la natura e per l’equilibrio della vita, ha affascinato nei secoli molti appassionati di storia e sociologia, non tanto per le conquiste in termini di potenza economica (motivo per il quale si ricordano i Romani, i Greci o altri popoli famosi) ma più che altro, per la loro connessione intima e profonda con Madre Natura, per il suo legame profondo e strutturato con la Madre Terra, che questo popolo riesce a tramandare nel tempo senza affanno.

I Nativi americani vengono spesso citati per le loro doti di guerrieri, cacciatori e guaritori, ma in questo articolo, approfondiremo un aspetto meno considerato ma non meno importante della loro cultura: le tradizioni, costumi ed abitudini alimentari.

L’intento è capire e spiegare il profondo legame di rispetto ed equilibrio che questo popolo nutriva per le colture e per le risorse della Terra in generale che ne hanno fatto involontariamente dei veri e propri ambasciatori di uno stile di vita “green” ecosostenibile ed equilibrato dal punto di vista del benessere, già da secoli.

LA STORIA

Gli abitanti del Nuovo Continente, i Nativi Americani, sono un popolo antico, che giunse dall’Asia, in quegli che ora chiamiamo Stati Uniti 15.000 anni fa ed è caratterizzato da una vera e propria mescolanza di etnia e culture.

Nondimeno, prima dell’arrivo dei coloni, vi era una divisione del territorio americano dei Nativi in tanti sotto territori appartenenti a diversi Gruppi di Nativi (o “Nazioni” anche dette) che si diramavano in aree ecologiche e culturali con ben 7 phylum linguistici (insieme di lingue che presentano caratteristiche comuni, ma non sufficienti a consentirne il raggruppamento in famiglia.)

Tali phyla generarono circa 500 entità sociali composti da insieme di famiglie (le bande) o vere e proprie tribù o strutture più complesse come confederazioni, principati, potentati e addirittura “imperi”.

Con l’arrivo della colonizzazione europea nel territorio delle Americhe a partire dal 1492, il popolo dei Nativi ha subito un vero e proprio declino e sterminio, causati sia dalla pulizia etnica attuata attraverso dei veri e propri stermini di massa da parte dei coloni, sia per le malattie di provenienza europea che, sconosciute alle popolazioni locali indigene e per le quali non avevano alcuna immunità, risultarono fatali.

Anche dopo la nascita degli Stati Uniti, la popolazione nativa ha continuato a subire massacri subendo anche l’espropriazione forzata di terre ancestrali, risorse, porzioni di territorio, potere, usanze, riti, religione, grazie anche a contratti unilaterali e politiche di governo discriminatorie.

Attualmente sono rimaste solamente 574 tribù riconosciute a livello federale presenti sul territorio statunitense, la cui metà sono legate alle Riserve Indiane.

INDIANI PELLEROSSA: l’origine del nome

Dall’arrivo di Colombo il 12 Ottobre 1492 presso la cittadina di Guanahani (nelle Bahamas) i nativi americani vennero chiamati Indiani Pellerossa a causa della credenza di Colombo di aver raggiunto l’India.

Difatti, secondo i suoi calcoli partendo da Puerto de Santa María, in Spagna, in due mesi e qualche giorno avrebbe potuto raggiungere l’India via mare navigando su rotte sconosciute via oceano e l’arrivo nel Nuovo Continente venne scambiato inizialmente per l’arrivo alla tanto agognata meta originaria indiana.

Solo dopo 15 lunghi anni, dopo aver visto la scarsità di risorse quali oro e spezie i coloni capirono di essere giunti ad un nuovo continente, che chiamarono appunto America.

USI E COSTUMI

Nonostante l’intero popolo dei Nativi sia conosciuto come popolo di formidabili cacciatori, guerrieri e sciamani guaritori, con un profondo legame spirituale ed energetico verso la Natura e i suoi abitanti, la popolazione è frammentata in varie Tribù con lingue ed usanze molto diverse.

All’arrivo dei coloni si contavano più di 300 lingue diverse indigene, la cui maggioranza sono scomparse e le restanti sono a rischio estinzione.

Tuttavia, una costante di tutte le tribù consiste nei riti con balli di gruppo eseguiti con diversi stili e varianti a seconda dello scopo per il quale si danza: dalla richiesta di prosperità a madre Natura, alla danza della pioggia, alla danza del bisonte e alla famosa danza del sole, ballo propiziatorio per richiedere salute e prosperità.

La parte religiosa della tribù era curata e incoraggiata dai Capi Tribù che svolgevano riti, cerimonie (con digiuni e offerte) e tramandavano le usanze e le credenze alle generazioni più giovani.

Una usanza molto importante che ancora oggi si celebra è la cosiddetta pow-wow, ossia il raduno di tutte le Tribù del Nord America.

In fatto di abbigliamento, gli uomini erano solito indossare pellicce, calzoni, pantaloni di pelle di cervo o bisonte come protezione dal freddo, le donne abiti di pelle e vesti lunghi fino ai piedi, pelle di animali e accessori come piume e pellicce come oggetti decorativi.

RELIGIONE E CREDENZE

Il fulcro della vita dei Nativi è certamente la religione e le loro credenze legate al rapporto con la Natura.

In ogni tribù vi erano i propri riti, credenze, leggende e rituali unici, ma in ogni religione era ricorrente un approccio di animismo: ossia la concezione tipica dei popoli primitivi, secondo cui ogni fenomeno o accadimento dell’universo sono dotati di anima e vivono di vita propria, una loro vita spesso creduta divina e degna di culto.

Nella zona del Pacifico Nord-occidentale, gli Indigeni credevano nell’esistenza di un sistema di Spiriti Guardiani quali animali, alberi, persone e persino alcuni oggetti inanimati come il vento, le tempeste e l’acqua che guidassero e sorvegliassero tutti gli essere viventi, con a capo il Grande Spirito, l’essere supremo che vegliava su ogni cosa e assumeva forme diverse in ogni Tribù.

Nella parte sud orientale del territorio, alcune tribù credevano nell’esistenza di “Tre mondi (tra i quali gli spiriti possono viaggiare) che includono: il mondo superiore (perfetto e puro), il mondo inferiore (caotico e spaventoso) e questo mondo (nel quale vive l’uomo responsabile di mantenere l’equilibrio tra i 3 mondi).

Avvicinarsi agli spiriti era molto importante e per questo necessario e permesso provocarsi allucinazioni con droghe, digiuni, ore passate nel deserto in meditazione, autolesionismo e altro, al fine di ottenere le tanto sognate visioni degli spiriti per ricevere guida e supporto nelle decisioni importanti della vita.

LE ABITUDINI ALIMENTARI

Le abitudini alimentari di questo grande popolo sono molto interessanti se si pensa alla varietà di tribù e relativi riti e costumi.

In base alla zona di appartenenza troviamo diverse abitudini:

  • Al nord la caccia di selvaggina è il maggiore sostentamento.
  • Lungo la costa si consumavano frutti di mare e crostacei cotti al vapore o arrostiti con l’uso di pietre ardenti sotto la sabbia.

Dei tradizionali piatti indigeni siamo venuti a conoscenza grazie alle tradizioni tramandate nel corso del tempo dagli anziani e dai saggi alle nuove generazioni e ai coloni americani che invasero il territorio.

I pasti principali erano soliti essere:

  • Zuppe: zuppa di granturco, zuppa di trota, zuppa di pomodori, zuppa di zucca gialla, zuppa di carciofi.
  • Carne: chilli classico, cervo arrosto e riso selvatico, coniglio stufato e dumplings (pasta fatta con farina d’avena e bollita), pernice con uva e mele, quaglie con anacardi, tacchino arrosto, stufato di gallina.
  • Pesce: gamberi alla Cajun (nome di una tribù), granchio al forno, stufato di lumache di mare, anguilla al forno.
  • Verdure: ortica al burro, Succotash Mohegan (piatto ricco e colorato a base di fagioli, mais e peperoni, costituito principalmente da fagioli di lima (o altri fagioli), mais dolce e peperoni (possibilmente verdi), ma si possono aggiungere anche altre verdure (zucchine, cipolline fresche, pomodorini) e arricchito con lardo e burro), salsa (una salsa argentina a base di prezzemolo, origano, aglio e peperoncino).
  • Dolci: torta ai semi di girasole, biscotti alle nocciole, pasticcio di anacardi e zucca.

Vi è da sottolineare, che non tutte le popolazioni prediligevano la carne di bisonte come si è soliti dipingere nello scenario stereotipato tramandato dai fumetti, cinema e Media in generale.

Difatti, data la vasta differenziazione di habitat e climi all’interno dell’enorme territorio nord americano, quali le distese ghiacciate dell’Artico, i deserti dell’Arizona e di Sonora, le foreste pluviali della British Columbia, i boschi decidui della Virginia e della Carolina, le grandi pianure lungo il sistema fluviale Mississippi-Missouri e le paludi della Florida; comporta che le tradizioni alimentari subiscano una forte caratterizzazione in base al clima e al territorio.

Ogni territorio infatti, possiede una miriade di specie animali e vegetali autoctone e particolari di quel microclima che venivano cacciate, consumate o coltivate.

IL RAPPORTO TRA CIBO E RELIGIONE

Al di là di tutte le specifiche delle varie zone suddette, vi è una costante non indifferente tra le diverse zone, ossia l’assenza di vero e proprio allevamento di bestiame (tranne che per cani e tacchini che venivano consumati in rare occasioni specifiche) e per tale motivo non era difficile che la popolazione avesse periodi di magra con forte scarsità di cibo e risorse.

Essa veniva vista come una minaccia alla quale poneva rimedio l’intervento di un eroe mitologico che lasciava in eredità alla popolazione un rimedio specifico sottoforma di rito, per evitare che la carestia si ripresentasse nuovamente.

Tale approccio di accettazione di una alternanza di periodi di forte scarsità e periodi di maggiore abbondanza mettono in luce il caratteristico punto di forza della popolazione indigena che fece proprio il concetto di sano ed equilibrato rapporto con le risorse della natura.

Tale forte equilibrio nel rispettare i cicli della natura e nell’accettare e non forzare l’arrivo delle risorse è stato per secoli il motivo per il quale questo popolo ha da sempre amato e ricevuto tanto dalla Terra, valorizzandola, senza mai sfruttarla o distruggerla.

Tale principio, molto lontano dal principio di conquista e sfruttamento esacerbato tipico della cultura occidentale, dovrebbe portarci a riflettere di come il nostro approccio moderno dovrebbe prendere spunto dai vecchi riti antichi dei nativi in ottica di un approccio green ed ecosostenibile che tanto aneliamo a raggiungere.

Non a caso, mentre per i Nativi, l’avere cibo veniva visto come un vero e proprio miracolo, tanto da portarli a consumarlo con molti riti e cerimonie per quanto raro fosse l’evento, per noi moderni occidentali l’onnipresenza del cibo e l’eccessivo consumo portano ad enormi sprechi e alla mancanza più totale di rispetto delle risorse alimentali e naturali.

Inoltre, se pensiamo all’approccio animista che aveva il popolo dei Nativi (secondo il quale gli spiriti governavano ogni manifestazione naturale) il sostentamento veniva percepito come un vero e proprio evento spirituale, che li portava ad apprezzare, gustare e rispettare gli alimenti in ogni sua parte.

Tale visione spirituale del cibo, è stata completamente pesa ed abbandonata dal mondo moderno e potrebbe essere invece, un concetto interessante per ricostruire una identità alimentare non più struttura sul consumo e sullo sfruttamento, ma sulla degustazione del cibo come un evento o esperienza che ci arricchisca non solo a livello fisico ma anche spirituale.

Non a caso, secondo le credenze indigene, il numero degli animali rimaneva sempre invariato in quanto ogni preda uccisa si rincarnava nuovamente in un nuovo esemplare per un ciclo eterno senza sosta.

Qualora vi fossero periodi di penuria di prede si attribuiva la colpa ad un atteggiamento sbagliato di quale membro della tribù che si pensava avesse rotto un tabù (una convinzione marcata radicata nella cultura locale su un determinato argomento); quale ad esempio aver sbagliato abbinamento di cibi. Un eventuale trasgressione portava ad un vero e proprio disastro secondo le convinzioni locali che portavano a punire il trasgressore severamente.

Il RAPPORTO TRA LA DONNA E LE PREDE DELLA CACCIA

Altro interessante connubio quasi magico era la concezione di come le donne potessero influenzare l’esito della caccia e di come si organizzasse la caccia nel massimo rispetto degli spiriti guardiani delle prede, proprio a rimarcare lo stretto legame presente tra le popolazioni indigene e il contesto naturale.

Difatti vi erano veri e propri rituali che le donne dovevano rispettare affinché la caccia fosse propizia.

La donna e il kayak: quando una donna cuciva le pelli di un kayak, in genere eseguiva il lavoro indossando un indumento impermeabile, in modo che il suo odore non impregnasse l’imbarcazione, mettendo in allarme le prede.

La donna e la foca: era proibito che cadessero capelli di donna nel parka di un cacciatore di foche, perché veniva considerato offensivo per gli animali. Una volta uccisi, i loro spiriti si sarebbero lamentati della negligenza della donna, decidendo di stargli alla larga nella vita successiva.

La donna e la balena: la moglie del capo baleniere presso i nativi della Costa Nord Ovest, rappresentava simbolicamente la balena. Per questa ragione, durante la caccia, era soggetta a molti tabù.

Alcuni esempi: in casa, quando doveva sedersi, occorreva che lo facesse volgendo le spalle al mare: in questo modo le balene, imitandola, si sarebbero dirette verso riva e non al largo. Era necessario che mangiasse cibi molto grassi, così che le prede sarebbero state altrettanto grasse. Non le era permesso pettinarsi, dal momento che se i capelli si fossero aggrovigliati, ciò avrebbe causato anche l’aggrovigliamento delle funi agganciate agli arpioni.

Non sorprende che tutte queste credenze avessero un risultato ottimale a livello ambientale, in quanto tale approccio ecosostenibile permise ai Nativi di avere un sano equilibrio con il proprio habitat in ottica di condivisione di risorse e sviluppo di nuove con una crescita sana e sostenibile dalla quale certamente prendere spunto.

  

APPENDICE

Per chi fosse interessato ad approfondire la lettura riportiamo un passo dettagliato con le specifiche alimentazioni locali zona per zona.

Di seguito riportiamo alcuni territori maggiori e le principali usanze alimentari:

  1. Regione Artica: territorio vastissimo che si estende dall’Alaska, fino al Labrador ed alla Groenlandia.

In passato era abitata soprattutto da popolazioni Aleutine, Yupik e Inuit.

Dal momento che l’agricoltura non è praticabile sui ghiacci del pack e sul permafrost, le principali fonti di cibo dei nativi in questa zona furono:

  • La caccia ai mammiferi marini: su tutti foche, leoni marini e balene.
  • La caccia al caribou, praticata specialmente durante i mesi estivi.
  • La caccia agli uccelli acquatici e migratori, (anch’essa in estate).
  • La pesca.

Solitamente la carne non veniva cucinata ed era usanza consumare anche gli organi interni e il grasso come apporto di Sali minerali, alcune vitamine e proteine e sale. In particolare, il fegato era considerato molto prelibato e la bile veniva usata come salsa da codimento.

  1. Regione Subartica: fascia di territorio compresa tra la parte interna dell’Alaska (a ovest) e l’Oceano Atlantico (ad est). Le principali fonti di cibo in quest’area furono, in ordine di importanza:
  • La caccia al caribou nella zona settentrionale e al moose (alce canadese) in quella meridionale. Anche orsi, castori, porcospini, cervi e conigli erano spesso utili a sfamarsi.
  • La pesca, fondamentale per coloro che vivevano nel bacino dello Yukon e dei suoi affluenti.

Nella costa atlantica in particolare, si consumavano prettamente molluschi e crostacei e avendo pochi vegetali a disposizione si mangiavano bacche (more, mirtilli, lamponi, ribes) e radici.

  1. Costa Nord Occidentale: striscia di terra compresa tra l’Oceano Pacifico, a ovest, e le catene montuose coperte dall’impenetrabile foresta pluviale nordica, ad est.

Le principali fonti di cibo per i Nativi di questa regione erano:

  • La pesca, soprattutto quella al salmone del Pacifico. Grande importanza avevano anche il candlefish, l’halibut e il merluzzo.
  • La caccia ai mammiferi marini:la balena megattera (humpback) e la grigia.

Interessante è l’utilizzo di alghe come riserva alimentare, che venivano raccolte essicate e ricomposte in pani messi da parte per i periodi di carenza di risorse.

La raccolta di piante, bacche e radici (specialmente i bulbi di camas, varie tipologie di more e la salal-berry) era anch’essa importante per la dieta di questi abitanti

  1. Plateau: questi altopiani sono compresi a nord tra le provincie canadesi della British Columbia (ad oriente) e dell’Alberta (ad occidente). A sud, tra gli stati americani di Washington (ad oriente) e del Montana (ad occidente). Grazie alla sua particolare posizione, la regione presenta zone ecologiche piuttosto differenziate tra loro.

Le principali fonti di cibo dei Nativi in quest’area furono:

  • La caccia, soprattutto di animali di grossa taglia, come ad esempio l’alce (principalmente nella zona a settentrione).
  • La pesca, soprattutto quella al salmone (ad ovest).

Coloro che vivevano a sud potevano permettersi una dieta mista: alla raccolta di bacche, frutta e vegetali vari, si affiancavano la pesca e la caccia di selvaggina di piccola taglia (daini, conigli, etc.). Prezioso il ruolo della radice di camas (Camassia leichtlinii).

  1. Grandi Pianure del Nord America: dal Canada al Golfo del Messico. Le principali fonti di cibo dei Nativi in questi territori furono, in ordine di importanza:
  • La caccia, soprattutto quella al bisonte. Il cervo, il daino, l’antilope, l’orso e la selvaggina di piccola taglia rappresentavano possibili alternative.
  • La raccolta: venivano mangiate bacche (ingrediente principale nella preparazione del famoso ‘pemmican’) e radici.

Le tribù che vivevano nelle zone prossime alle Regioni delle Praries e del Sudovest, riuscivano spesso a procurarsi mais, fagioli e zucche, grazie a commerci o spedizioni di guerra. Il pesce veniva in genere trascurato come alimento.

  1. Praries’ e Grandi Laghi: le principali fonti di cibo delle popolazioni che vivevano in questi territori furono, in ordine di importanza:
  • La caccia al bisonte.
  • L’orticoltura, diffusa nella zona delle pianure. I principali prodotti erano mais, fagioli e zucche, coltivati dalle donne nei piccoli appezzamenti di terreno che circondavano i villaggi invernali.
  • La pesca, praticata soprattutto nell’area dei Grandi Laghi. Le battute in genere si tenevano di notte: i pesci di acqua dolce venivano infatti attirati dalla luce delle torce.

Le tribù che vivevano presso i confini orientali delle Plains, inizialmente si nutrirono dei bisonti dei boschi. Una volta che gran parte di questi animali fu sterminata, la loro dieta iniziò a basarsi sulla caccia alla selvaggina (cervo e daino) e sulla raccolta di bacche e radici.

  1. Nordest e Sudest: le fonti di cibo delle popolazioni che vivevano in queste regioni furono, in ordine di importanza:
  • L’orticoltura. Questa sopperì ad almeno il 50% del fabbisogno alimentare del Nordest. Nel Sudest, la presenza di grandi città e di una società più complessa, permise lo sviluppo di un’agricoltura strutturata: i principali prodotti erano mais, fagioli e zucche.
  • La caccia. Questa coprì il restante 50% del fabbisogno nel Nordest e rappresentò la seconda fonte di cibo nel Sudest. Le principali prede erano cervi, daini ed orsi. Venivano cacciati anche animali di piccola taglia come lepri, conigli e tassi, oltre ad uccelli come il tacchino, il cigno, il tuffolo e vari tipi di anatre. Nelle zone settentrionali si praticava la caccia alla foca e alla balena. In Florida e nelle aree paludose del Sudest una delle prede preferite era l’alligatore.
  • La pesca. Un’attività di grande importanza, soprattutto per le popolazioni costiere. Venivano catturati sia pesci d’acqua dolce che marini (salmone dell’Atlantico, merluzzo e aringhe). Da sottolineare inoltre il consumo di molluschi e di frutti di mare.
  • La raccolta. I Nativi di questa zona si nutrivano di vari tipi di noci e ghiande, oltre che di frutta selvatica.
  1. Grande Bacino: questo territorio era caratterizzato, soprattutto nelle aree desertiche, da una notevole scarsità di risorse alimentari. Le fonti di cibo delle popolazioni che vi abitavano furono, in ordine di importanza:
  • La raccolta. Soprattutto di semi, radici, tuberi e pinoli (piñon).
  • La caccia. Nell’arido meridione gli animali a disposizione erano molto pochi: si potevano trovare solo conigli, vari tipi di roditori, serpenti ed insetti (soprattutto cavallette). Nella zona settentrionale e presso le Montagne Rocciose venivano cacciati il cervo, l’antilope e la capra di montagna.
  1. California, Bassa California e Nordovest del Messico: le fonti di cibo delle popolazioni che abitavano in queste regioni furono, in ordine di importanza:
  • La raccolta. Soprattutto di pinoli (piñon) e di vari tipi di ghiande (acorns). Si consumavano anche la yucca, i fagioli mesquite e l’agave. La pianta del cactus era particolarmente preziosa nelle zone desertiche: ci si poteva infatti nutrire dei suoi frutti (freschi o secchi), dei semi (secchi o arrostiti) e della polpa. Dalla sua spremitura si otteneva una bevanda.
  • La caccia. Nella parte meridionale della California e nel Messico settentrionale, la fauna di grosse dimensioni era abbastanza rara e occorreva quindi cibarsi di piccoli roditori e conigli. La dieta comprendeva inoltre rettili e insetti. Sulla costa venivano cacciati alcuni mammiferi marini. Nella parte centro-orientale della California (in prossimità alle Montagne Rocciose) si potevano trovare animali più grossi come cervi, capre di montagna e orsi.
  • La pesca. Praticata sulla zona costiera, non aveva grande peso. La dieta era integrata da alcuni tipi di molluschi.
  1. Sudovest: in epoca precolombiana, le fonti di cibo dei popoli Hohokam, Mogollon e Anasazi/Pueblo furono, in ordine di importanza:
  • L’agricoltura. Gran parte della dieta locale era basata sul mais, coltivato in diverse varietà. Spesso veniva utilizzato per produrre un particolare tipo di pane, il cosiddetto ‘piki’ (parola hopi).
  • La raccolta di pinoli, noci e dei frutti del cactus Saguaro.
  • La pesca. Sebbene i pesci non facessero parte della dieta dei Pueblo, venivano mangiati occasionalmente dalle popolazioni che vivevano lungo il Rio Grande.

L’arrivo di tribù Dené (Navajo e Apaches) dai territori del bacino dello Yukon, modificò almeno in parte le abitudini alimentari nella regione.

I Denè erano popoli nomadi di cacciatori e raccoglitori che, almeno inizialmente, imposero ai Pueblo un commercio ‘diseguale’ tra prodotti agricoli e cacciagione (in primis, il bisonte).

Durante il XVIII secolo, alcuni gruppi cercarono di convertirsi all’agricoltura, ma la caccia e la razzia rimasero la loro principale fonte di approvvigionamento di cibo. Questa situazione perdurò fino a quando l’esercito degli Stati Uniti impose ai Navajo l’uso della pastorizia.

Mangiare sano e mangiare cibi sani è fondamentale per garantire uno stato di salute appropriato. Per questo, tenere sane abitudini alimentari è davvero importante. Quantità di cibi, tipologia di alimenti e la loro relativa combinazione, tempi di assunzione degli stessi e tipologia di cucina influenzano fortemente il benessere. Le abitudini alimentari sane possono davvero fare la differenza in termini di qualità di vita e durata. Di seguito riportiamo uno schema di abitudini sane da seguire e fare proprio.

1) Fare sei o più spuntini al giorno

Se ammettiamo che i pasti abbondanti favoriscono l’obesità, aumentano il rischio di malattie cardiovascolari e ostacolano la digestione e l’assimilazione delle sostanze nutritive, i pasti LEGGERI migliorano notevolmente l’assorbimento delle sostanze nutritive, prevengono l’obesità, facilitano la digestione permettendoci di mantenere stabili i livelli di energia per tutta la giornata.

2) Bere 3 litri di acqua al giorno

Bere molta acqua comporta di aiutare oil nostro organismo a svolgere al meglio le proprie funzioni essenziali. L’idratazione è importante ad ogni età e non solo per bambini, anziani, malati e atleti.

Maggiore è la quantità d’acqua maggiori sono le prestazioni fisiche e mentali, inoltre, l’effetto depurativo di smaltimento dei metalli pesanti, prodotti chimici e altre tossine determina un ulteriore motivo per bere più possibile.

3) Mangiare frutta intera a stomaco vuoto

Con la sua azione purificatrice e nutriente la frutta è un alimento eccezionale per la salute e il suo consumo a stomaco pieno ne massimizza notevolmente l’effetto perché venendo digerita dall’intestino necessita di una azione diversa rispetto agli altri elementi. In aggiunta a questo, consumare frutta evita di attaccarsi ai dolci e ci rende un consumo extra di sostanze nutritive salutari. Meglio consumare la frutta a pezzi piuttosto che sotto forma di succo poiché nei pezzi è inclusa la fibra, che solitamente viene persa insieme ad altre sostanze nutrienti quando spremute, estratte o frullate. Altro vantaggio importante dovuto alla presenza di fibre è l’aumento graduale del livello di glucosio nel sangue

4) Evitare cibi altamente trasformati

Evitare gli alimenti altamente trasformati quali dolci, prodotti da forno o fast food, permette di non incorrere nel cosiddetto cibo spazzatura e nella relativa assunzione di cibi altamente calorici, pieni di additivi, edulcoranti e conservanti, ma privi o poveri di nutrienti,

5) Promuovere il consumo di alimenti ricchi di omega 3

Gli acidi grassi omega 3 e omega 6 sono considerati essenziali perché il corpo non può produrli in autonomia ma deve assumerli attraverso il cibo. Mentre gli Omega 6 sono presenti in grande quantità nei cibi più comuni, gli Omega 3 sembrano più difficile da trovare e la loro eventuale assenza potrebbe causare un forte squilibrio nell’organismo, soprattutto per le malattie cardiovascolari, cancro e le malattie autoimmuni. Le loro funzioni principali sono di produzione di molecole volte a sanare i processi infiammatori.

6) Eliminare il consumo di carne, pesce e latticini

Ridurre tali prodotti è importante per la riduzione del livello di colesterolo nel sangue e dell’acido arachidonico, precursore di sostanze di mediatori infiammatori e processi allergici.  Vi sono seri dubbi sulla capacità di assorbimento del calcio dal latte di origine animale. La carenza di calcio è più diffusa nei paesi che consumano più latte. Al contrario, in Asia, dove il latte viene consumato in piccole quantità, la carenza di calcio è inferiore. La soia è un sostituto perfetto del latte poiché è una fonte di calcio. La soia è un ricco di isoflavoni, composti flavonoidi con elevata capacità antitumorali che agiscono al pari degli estrogeni umani e sono efficaci al miglioramento e prevenzione dei sintomi della menopausa, soprattutto se assunti regolarmente dalla più tenera età. La maggior parte dei prodotti di soia forniscono gli stessi benefici indistintamente (fagioli di soia, tofu, miso, tempeh o yogurt di soia). Per chi avesse propblemni di tiroide la soia è altamente dannosa ed è meglio evitarla a pieno. Ottimi sostituti della soia sono tutte la categorie di latte vegetale, quali latte di avena, mandorla, riso, cocco e varie combinazioni di questi, arricchitti con vitamina D, B12 e altri minerali fondamentali. Il vantaggio di questi prodottti è che sono altamente digeribili, leggeri, ricchi di vitamine e salutari.

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La scoperta del cibo locale fa sempre parte del rito di ogni buon viaggiatore, per assaporare a pieno il paese che si sta visitando attraverso l’emozione della scoperta di un nuovo paese e di una nuova cultura. Tuttavia, può capitare di incontrare cibi davvero bizzarri e spesso negativamente stupefacenti.

Di seguito una lista di alcuni cibi davvero bizzarri:

  1. Casu Marzu, Sardegna

Se giochiamo in casa, L’Italia, partendo dalla Sardegna annovera non poche stranezze.

Il casu marzu, letteralmente formaggio marcio, è conosciuto come il formaggio dei vermi, ossia formaggio pecorino cremoso e piccante sul quale si trovano le larve provenienti dalle uova della mosca casearia, che si nutrono direttamente del formaggio. Non si trova al commercio in quanto vietato, se non in casi particolari perché fornito direttamente dal produttore.

  1. Balut, Filippine

Il balut, specialità tipica delle Filippine e di alcuni altri paesi del Sud-Est Asiatico, è l’uovo di anatra o gallina fecondato e bollito quando l’embrione è quasi completamente formato nel guscio. Secondo la tradizione viene consumato direttamente dal guscio, con sale e aceto. Essendo un cibo di strada è facile trovarlo durante un viaggio nelle Filippine, nel Laos o in Vietnam.

  1. Huitlacoche, Messico

Tipico della ricca cucina messicana, l’huitlacoche, è un piatto ereditato dalla tradizione culinaria di epoca pre-ispanica. Consiste nel fungo parassita del mais, che si sviluppa fra i grani delle pannocchie. È un ingrediente usato come condimento di quesadillas e tacos: ha colore bianco-grigio al naturale e si trasforma in nero durante la cottura. Mentre in molti paesi del mondo questo fungo viene debellato poiché dannoso per il mais, in Messico è considerato il “tartufo messicano” e se ne fomenta la coltivazione.

  1. Fugu, Giappone

La cucina giapponese spesso mondialmente riconosciuta per il sushi e il sashimi, annovera una sfida particolare nel consumo del fugo (pesce palla). Nel paese del Sol Levante il pesce palla viene considerato una rarità e prelibatezza. La peculiarità di questa pietanza è la presenza in alcuni degli organi del pesce di una sostanza velenosa chiamata tetrodossina, che può essere estirpata solo a seguito di un’accurata preparazione/procedura atta ad evitare la contaminazione dei tessuti del pesce. Con l’elevato rischio di intossicazione mortale, il fugo viene preparato esclusivamente da chef in possesso di un’apposita licenza conquistato a seguito del superamento di un esame che certifichi l’idoneo livello di preparazione.

  1. Hákarl, Islanda

In Islanda si degusta l’hákarl, lo squalo putrefatto: poiché le sue carni fresche sono tossiche, per poterlo consumare è necessario lasciarlo essiccare e fermentare. La putrefazione elimina la tossicità, e potrete mangiare lo squalo senza problemi…se riuscirete a non farvi scoraggiare dal suo fortissimo e disgustoso odore! La carne di squalo putrefatto si trova in tutti i supermercati islandesi, non avrete quindi nessuna scusa per evitarlo.

  1. Sannakji, Corea

In Corea, nella tradizione locale vi è il sannakji, una prelibatezza a base di nakji, una qualità di piccolo polpo. Il piatto è particolare perché il polpo viene servito ancora vivo, tagliato in piccoli pezzi e le ventose dei suoi tentacoli rendono davvero strano questa pietanza in quanto sono ancora attive nel momento in cui il piatto è servito. Sentire le ventose che si attaccano alla bocca dà una sensazione davvero bizzarra, originale e pericolosa

  1. Ragni fritti, Cambogia

In Thailandia e Cambogia, nella zona di Skoun uno dei tradizionali spuntini consiste in ragni fritti. Vi sono allevamenti di ragni in buchi nel terreno o si possono catturare vivi nella foresta. Solitamente consumati impanati in sale e zucchero e fritti in olio con aglio. La particolarità consiste nel fatto che non si tratta di ragni piccoli ma di grandi tarantole asiatiche, grandi anche come il palmo della mano. Chi li ha provati con coraggio sostiene che assomiglino a gamberetti fritti….

  1. Uova dei cent’anni, Cina

In Cina le uova di anatra o quaglia conservato in argilla, calce, sale e cenere per molte settimane e mesi costituiscono i cosiddetti Uova dei cent’anni. Si riconoscono perché hanno un aspetto preistorico come fossero veri e propri fossili, se vengono aperte il tuorlo è di colore grigio scuro tendente al verde e l’albume è ormai grigio gelatinoso, ha un sapore salato e viene servito freddo, come antipasto o contorno.

  1. Larve di falena, Australia

Nella tradizione aborigena, vengono consumate le larve di falena che crescono solitamente nel deserto australiano. Sono considerati un piatto altamente proteico e sono ormai un piatto sempre più presente in alcuni ristoranti esclusivi cittadini che vogliono trasmettere le tradizioni culinarie aborigene. Questi ristoranti servono anche formiche, ragni e locuste, altri tipici cibi aborigeni. Il sapore delle larve viene considerato a metà tra pollo e gambero e di solito si gradiscono meglio se saporite e cotte al barbecue.

  1. Caffé Black Ivory, Thailandia

In Thailandia, un’altra tradizione culinaria molto bizzarra è il caffè Black Ivory, una bevanda molto apprezzata e rara in Thailandia. Questo strano tipo di caffè è ottenuto dai chicchi ingeriti dagli elefanti e recuperati successivamente dai loro escrementi. Tramite il processo di digestione dei chicchi da parte dei pachidermi, permette alle proteine del caffè di decomporsi rendendo la bevanda finale meno amara della classica. Per un kg di caffè Black Ivory sono necessari 33 kg di chicchi e per tale motivo viene venduto a 50 dollari a tazza, un prezzo veramente stellare e lo si può trovare solo in alcune strutture di lusso. Una parte del ricavato della vendita, viene devoluto in beneficenza per la salvaguardia degli elefanti.

 

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